Il gran pasticcio delle Province che vanno al voto

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Villa Recalcati, sede della Provincia di Varese

Sabato 18 dicembre si vota per eleggere 72 consigli provinciali e 32 presidenti di Provincia. I presidenti sono meno perché, in virtù della famosa o famigerata legge Delrio, rimangono in carica quattro anni, mentre i consiglieri due. Varese vota soltanto per il consiglio: il presidente Emanuele Antonelli resterà al proprio posto fino al prossimo giro. Con un rischio politico da evitare: la nuova maggioranza che potrebbe scaturire dalle urne potrebbe non essere esattamente di centrodestra, lo schieramento a cui appartiene il presidente, tra l’altro anche sindaco di Busto Arsizio.

Si tratta di un pasticcio che si profila all’orizzonte di Villa Recalcati sulla base del cosiddetto voto ponderato, da riferire ai sindaci e ai consiglieri comunali chiamati ad esprimersi. Siamo infatti davanti a elezioni di secondo livello, non aperte ai cittadini ma soltanto agli eletti nei Comuni. Il risultato sarà determinato dagli equilibri politici del momento, in relazione al peso di ogni consigliere, così come determinato dal numero degli abitanti della città o del paese di provenienza. Centrodestra e centrosinistra sono praticamente alla pari, la differenza, per quanto riguarda il Varesotto, la faranno le liste civiche.

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Emanuele Antonelli, presidente della Provincia di Varese

E’ scontato che i partiti useranno l’appuntamento di sabato per misurare la loro forza: tant’è vero che si presentano alle urne con liste proprie, al di fuori di schemi che prevedano alleanza, nella speranza di ottenere in questo modo un numero maggiori di eletti nel consiglio, che sarà formato da 16 esponenti. Aspettative e considerazioni che non entusiasmano più nemmeno gli addetti ai lavori, molti dei quali hanno evitato di esporsi al giudizio elettorale dei loro colleghi. Le ragioni sono molteplici, a cominciare dalla scarsissima attrattività politica della Province così concepite.

La Delrio doveva essere una legge transitoria, in attesa del referendum costituzionale voluto da Renzi con l’intento, tra le altre cose, di abolirle. Andò in un altro modo: la consultazione popolare bocciò su tutta la linea le proposte del governo di allora (era il dicembre del 2016), e le Province rimasero in vita, seppure defraudate di una serie di poteri, monche nelle funzioni, deprivate dell’intervento democratico dei cittadini. Insomma, una situazione a metà tra l’assurdo e l’indeterminato, tanto più che da Roma furono tagliati i contributi con la conseguenza di enti intermedi prossimi al collasso.

In fuga i dipendenti, non più sostituiti, si arriva ai nostri giorni con l’esecutivo centrale che pensa di modificare nella sostanza la Delrio attraverso un nuovo disegno di legge che, appunto, ridia fiato economico e operativo alle Province. Anche per un motivo impellente: la programmazione del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che organizzerà gli investimenti nell’ambito del Recovery Fund europeo. Per ottenere i fondi occorrono progetti sostenibili. E per realizzare i progetti servono professionisti all’altezza, che le Province non hanno più in organico. Di più, i piccoli comuni hanno perso il riferimento principale per la loro attività amministrativa: scontato che, a pieno regime, le Province funzionassero da cerniera tra i Municipi e le istituzioni più importanti, quale la Regione, vissuta come lontana dalle comunità territoriali e spesso assente.

Con un’aggravante tutt’altro che secondaria. Abolendo le Province il governo Renzi riteneva di ottemperare a un dikat allora imperante: la riduzione dei costi della politica, benché questi enti incidessero in minima parte sulla spesa pubblica complessiva. A conti fatti, i costi della politica, nonostante presidente e consiglieri non percepiscano alcun compenso, sono di fatto aumentati. Ecco quindi che si pensa di riproporre gli assessori e di riqualificare in modo strutturale l’assetto degli enti intermedi. Per il momento, pare, senza richiamare alle urne i cittadini, scelta che in qualche modo renderebbe incompleta la rinascita delle Province. Rinascita per altro irrinunciabile sulla strada dell’efficienza amministrativa e della cifra democratica di un Paese.

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