Il Natale di Malpensa con le paure del territorio

Malpensa territorio regione

Malpensa festeggia il Natale con il 24milionesimo passeggero e si avvia a chiudere il 2018 appena sotto i 25 milioni.  Un rilancio, quello dello scalo della brughiera, sostenuto dall’apertura di nuove rotte, dal consolidamento del cargo, da una serie di servizi dell’indotto che confermano lo straordinario momento dell’aeroporto. Che guarda al prossimo futuro con ritrovato entusiasmo dopo il periodo buio successivo al de-hubbing di Alitaliia.

Giusto stappare lo champagne anche nella prospettiva occupazionale, pur tra i tanti però derivanti dal precariato che caratterizza il settore. Insomma, c’è di che essere ottimisti. Ma fino a un certo punto. Il rovescio della medaglia riguarda il territorio, cioè l’impatto di una simile struttura su tutto ciò che le sta attorno, città, paesi, strade, ambiente. Nessuno, riteniamo, può mettersi di traverso  alle esigenze del traffico aereo che, in parallelo, produce benessere. Il problema è un altro: rendere sostenibile lo sviluppo aeroportuale, soprattutto se questo sviluppo è veloce al punto da generare un impatto altrettanto pesante sul contesto circostante.

Vecchio discorso, si dirà. Trito e ritrito, ma mai così attuale. I sindaci del Cuv, i centri del cosiddetto sedime  aeroportuale, premono affinché venga varato un nuovo piano d’area. In altri termini, vogliono programmare i tanti interventi ipotizzati o, addirittura, già in fase di progettazione. Chiedono un documento che rappresenti un grande piano regolatore territoriale e che se ne faccia carico la Regione, innanzitutto. Perché la Regione? Per il semplice fatto che Malpensa è l’aeroporto di Milano, la sola città che ne trae i cospicui benefici economici in quanto azionista di maggioranza della Sea, benché il capoluogo lombardo non viva gli stessi guai del Gallaratese e dell’Alto Milanese (qui non arrivano neanche le briciole della tassa d’imbarco). In seconda battuta, la Regione, perché lo scalo è strategico rispetto alla Lombardia e al Nord del Paese.  Infine, la Regione, per dovere istituzionale, per ruolo e competenze specifiche.

Le risposte al momento sono evanescenti. Nemmeno i giornaloni milanesi se ne occupano: tanto Malpensa sta là. Vero, i vertici regionali non si tirano indietro ma neppure danno la sensazione di avere nelle corde la questione. Il rischio è che Malpensa continui la sua crescita alla rinfusa, senza una bussola urbanistica né ambientale che possa evitare  il default territoriale. Esageriamo? Basta percorrere un tratto della famigerata superstrada 336, a qualunque ora del giorno, per toccare con mano uno dei vulnus principali: la viabilità. Claudio Montagnoli, primo cittadino di Arsago Seprio, uno dei Comuni coinvolti, propone, ad esempio, di cancellare il pedaggio sulla Milano-Torino per chi deve raggiungere i terminal della brughiera. Una specie di uovo di Colombo, detta così. Ma al momento, Montagnoli sta predicando nel deserto: non c’è un solo ente disposto a valutare l’idea. Che ha ragion d’essere anche in vista della chiusura di Linate la prossima estate.

Per non parlare delle ferrovie, degli insediamenti urbanistici, delle  rotte percorse dagli aerei, della logistica e dell’ospitalità. Per finire, ultimo ma non ultimo, alla salvaguardia ecologica,  ambientale e della salute collettiva.
La gestione di una simile partita richiede impegno e risorse. Peggio sarebbe se non arrivassero subito risposte convincenti in luogo del solito traccheggio della politica che, diciamolo senza infingimenti, sinora su Malpensa ha prodotto più danni che benefici. Il rilancio aeroportuale ha infatti un’unica paternità: il mercato.

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