Il Senatur escluso dal parlamento, viva il Senatur

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Umberto Bossi interviene in Senato (immagine di repertorio)

Finisce un’epoca. In un certo senso, l’uscita di scena parlamentare di Umberto Bossi segna davvero una sorta di spartiacque tra la Lega movimentista delle origini, interprete delle istanze del Nord, e la Lega di Matteo Salvini, estesa su tutto il territorio nazionale. Fallita la prima, in via di fallimento la seconda, quanto meno prendendo come termine di paragone il deludente risultato delle urne. Al punto che sono in molti dentro il partito a rimpiangere gli anni belli della Lega di lotta, quando Bossi berciava nelle piazze contro Roma Ladrona e proclamava che i leghisti “ce l’hanno duro”. Altri tempi, altre speranze. E illusioni. Oggi, il Carroccio non è più di lotta, ma un partito di governo, che cerca una nuova identità e finisce in coda a Fratelli d’Italia e sente il fiato sul collo di Forza Italia. Con Bossi destinato alla pensione, lui, il padre fondatore, icona indiscutibile del movimento, indebolito dai problemi di salute, messo all’angolo da una legge elettorale che tutti vorrebbero cambiare ma che, a conti fatti, fa comodo a tutti così com’è.

Però Bossi è Bossi, dopo 35 anni di vita parlamentare mica si può marginalizzare senza riconoscergli meriti e ruolo. Salvini prova a “curare la ferita” proponendo per lui la nomina a senatore a vita, per riportarlo dove aveva cominciato: Palazzo Madama. Mossa tempestiva e calcolata, dietro la quale incombono certe prese di posizione della stessa Lega, degli stessi Bossi e Salvini, contro il prestigioso incarico che il presidente della Repubblica assegna a personalità di spicco del mondo politico e della società. Scriveva l’attuale segretario leghista in un post programmatico di un paio d’anno fa: “Abolizione dei senatori a vita ed elezione diretta del presidente della Repubblica”. Che dire? Una contraddizione tipicamente salviniana, una delle tante di questi ultimi tempi, nemmeno la più eclatante, pur sempre una giravolta per opportunità.

Una riparazione in corsa, quasi un contentino a un uomo che, piaccia o no, ha messo in carreggiata una delle più straordinarie avventure politiche dal Dopoguerra in poi. Certo, un’avventura che è stata una provocazione contro il sistema costituito, alla quale hanno comunque creduto milioni di persone: ricordate le adunate sul Po? Contrassegnata da manifestazioni di popolo, da simboli e iniziative più o meno folcloristiche, fino al pratone sacro di Pontida, alla nazione padana che non è mai esistita, all’acqua del Monviso e alla dichiarazione di indipendenza del Nord. Tutto in bilico tra la fantasia e la realtà. Con un solo regista: Umberto Bossi, il Senatur. Ecco perché non stupisce il fatto che i leghisti della prima ora e non solo lo rimpiangono, lo vorrebbero addirittura, se mai fosse possibile, al posto del discusso Salvini, nonostante tutto. Nell’idea che la Lega si può salvare dal tracollo soltanto in un modo: ritornando al passato in funzione del futuro.

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