La crisi energetica europea

La guerra del gas dopo le sanzioni alla Russia

di Alessandro Belviso

Dopo quasi sei mesi dall’inizio degli scontri tra russi e ucraini la preoccupazione degli stati europei per le conseguenze del loro sostegno al governo di Zelensky sta montando rapidamente. Uno degli strumenti usati dall’alleanza NATO contro la Russia, oltre all’invio di armi, è stata l’adozione di diversi pacchetti di sanzioni con l’intento di distruggere l’economia del governo di Putin. Questo strumento è già stato usato dall’UE nel 2014 per rispondere all’aggressione di Mosca verso la Crimea, ma stavolta l’intervento occidentale è totale: si vuole interrompere ogni possibile importazione ed esportazione da e verso la Russia. Ed è il settore energetico ad avere la peggio, con possibili ricadute in ogni ambito della vita.

Da anni l’Europa, con il suo enorme fabbisogno energetico, ottiene a prezzi stracciati gas e greggio dal governo di Putin. Ma oggi non è più così. Ha destato notevole agitazione nelle scorse settimane la chiusura del gasdotto North Stream 1 (che porta 55 miliardi di metri cubi di gas l’anno alla Germania) per manutenzione programmata fino al 22 luglio scorso. La dipendenza europea dal gas russo è importante: ogni giorno Bruxelles paga 530 milioni di euro per le forniture, esponendosi al ricatto energetico di Mosca. Putin mette l’Europa alle strette e nello stesso tempo guadagna denaro prezioso dall’export per controbilanciare gli effetti negativi della guerra sull’industria, sfruttando l’aumento dei prezzi. Infatti la bilancia commerciale di Mosca ha registrato nel secondo trimestre dell’anno un surplus record di 70 miliardi di dollari. Ridurre la dipendenza dalla Russia appare un obiettivo razionale, ma lo stesso può portare a conseguenze impreviste. Mosca ad oggi esporta giornalmente in UE 150 milioni di metri cubi di gas, circa un terzo degli anni precedenti. Gli acquisti fatti da altri paesi (Norvegia, Algeria, Qatar) non hanno totalmente compensato la quota mancante. Più passa il tempo, più si farà sentire la riduzione. E la Russia potrà continuare ad usare il gas come strumento di pressione e moneta di scambio con altri mercati, come in Cina e India, per migliorare le relazioni politiche. Il mantenimento di un conflitto a bassa intensità come oggi permetterebbe all’Europa di non subire troppo gli effetti del ricatto. Ma tutto cambierebbe in caso di estensione al blocco totale delle forniture. Ad oggi 12 nazioni hanno subito dei tagli, da quando gli stessi hanno rifiutato il pagamento in rubli del gas. Dalla Polonia alla Finlandia fino alla Bulgaria non ricevono più energia. Se i blocchi dovessero proseguire ed estendersi ad altri paesi vulnerabili, Putin potrebbe dividere ulteriormente l’azione politica dell’UE ed obbligarla ad attuare la direttiva Secure Gas Supplies, per la solidarietà intereuropea sull’energia. L’aumento dei costi porterebbe moltissime aziende al fallimento e milioni di famiglie in difficoltà per il riscaldamento delle case. Ed in quel caso il razionamento sarebbe quasi una necessità.