La guerra al coronavirus: c’è chi diserta anche dal divano

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Non ricordiamo più chi ha scritto che i nostri nonni hanno combattuto la guerra al fronte, sotto le bombe, nei lager nazisti e nel gelo di Russia, mentre la stragrande maggioranza di noi può combatterla dal divano di casa. Una bella differenza tra quel modello e il nostro, benché anche oggi si stia combattendo una guerra, seppur senza fucili e cannoni. Si tratta però di un confronto bellico contro un nemico cinico, subdolo e soprattutto invisibile, che colpisce a tradimento coloro i quali non hanno potuto o, peggio, non hanno voluto e ancora non vogliono fermarlo. Senza sparare, ma rimanendo comodamente seduti davanti alla Tv, leggendo un libro, ascoltando musica.

Ce lo dicono gli esperti: bisogna semplicemente stare a casa. E allora, c’è da domandarsi perché molti, troppi, non abbiano ancora preso atto di quanto stia accadendo col coronavirus; sembra preferiscano non vedere e non capire, come se il “nemico” colpisse altri e altrove. Ma questa volta gli “altri” siamo noi, e“l’altrove” è qui, nelle nostre strade, nelle piazze, nei luoghi di aggregazione, davanti alla porta di casa. Non ci vuole uno scienziato per rendersene conto, basta aprire un giornale, guardare un tg, buttare l’occhio ai social per avere il quadro di riferimento. Che è drammatico, surreale, angosciante, con l’aggiunta di tutti i peggiori, nefasti aggettivi che ci offre il vocabolario.

Cosa andiamo cercando? Sono giorni bui, che l’ironia che inonda WhatsApp e gli altri canali della rete riesce appena a mitigare, non di sicuro a esorcizzare. Un effluvio di messaggi, video, frasi, leggerezze, a volte esternazioni stupidissime e inconsistenti, che riconducono comunque al motivo che li genera: il virus. Eppure, qualcuno non s’è ancora immedesimato nel contesto, rimane sordo agli appelli delle autorità, fa finta che sia tutto come prima. Ma nulla, almeno in questo momento, è più come prima. E forse non lo sarà nemmeno dopo, per molto tempo dal giorno, speriamo prossimo, della fine dell’incubo. Così, il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, persona saggia ed educata nell’approccio verso i suoi simili, si vede costretto a chiedere di inasprire le restrizioni, a chiuderci tutti in casa d’imperio perché indisciplinati e, lasciatecelo dire, privi di un minimo senso civico e sociale. Ingrati verso medici, infermieri, volontari che le battaglie le stanno combattendo davvero al fronte. Altro che divano di casa.

Certo, tra noi ci sono anche coloro che ottemperano senza fiatare alle disposizioni governative e per fortuna sono la maggioranza. Ma non basta, il “nemico” cammina con le gambe degli altri, di quelli che hanno scambiato una tragedia sanitaria per un film, un brutto film in cui ci si sente al massimo comparse e dove non valgono le regole. Una sorta di “Truman show” a cui partecipare distaccati e con disincanto. “Tanto a noi non ci tocca” è la giustificazione più o meno conscia e vacua. Peccato però che così facendo si rischia che tocchi agli altri, proprio perché non siamo in un film.

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