La guerra all’Ucraina: le ragioni di Putin e le ragioni vere

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di Ivanoe Pellerin

Il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin invade l’Ucraina e nel discorso alla nazione con cui annuncia l’operazione speciale, Putin dice che vuole fermare il processo di accerchiamento della Nato. “Le ragioni di Putin”, così le ha chiamate qualche fantasioso commentatore, elencano altre amenità quali: liberare l’Ucraina dai nazisti, riunificare l’Ucraina alla madre Russia e naturalmente combattere la minaccia militare. Però a guardare le cose molto da vicino forse possiamo scorgere altre cause, altri motivi, altre ragioni. Mi ha suggerito un suggestivo motivo di riflessione il parere di Giuseppe Sabella, economista, Executive Director di Think-industry 4.0 (ora oikonova), specializzato in economia e mercato del lavoro che ha scritto “La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino”, intervenuto a Zapping, nell’ottima trasmissione di approfondimento condotta da Giancarlo Loquenzi dopo il radiogiornale delle 19.00. Così sono andato ad approfondire le opinioni di Sabella e le ho trovate molto interessanti.

La ricca “terra di mezzo”

Secondo voi che cosa vede Putin quando guarda sulla piantina geografica il Donbass? Putin vede lo “scudo ucraino”, quel territorio compreso tra i fiumi Nistro e Bug che si estende fino alle rive del Mar d’Azov. Quella regione chiamata “Terra di mezzo”, che va dal confine con la Bielorussia fino al Donbass al sud, è un’area larga 250 Km e profonda 1.000, quindi 250.000 Km quadrati che negli ultimi anni sono stati esplorati anche dai nostri ricercatori del CNR aiutati dagli omonimi ucraini. Quel territorio è stimato tra i più ricchi d’Europa ed è ricolmo di risorse minerarie dette Terre Rare, di Litio, di uranio, titanio e minerali di ferro, ed anche i territori già occupati sono strategici in questo senso: l’Ucraina orientale è la seconda più grande riserva d’Europa di gas naturale; in Luhans’k e nel Donetsk vi sono enormi giacimenti di gas di scisto; in Crimea, già annessa dal 2014, vi sono rari giacimenti energetici offshore. Non è solo la mappa dell’invasione, è la mappa dei giacimenti.

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Ivanoe Pellerin

Le Terre Rare sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (scandio, ittrio e i lantanoidi). L’Europa le importa per il 98% dalla Cina che, per il momento, ne possiede il 40% delle riserve mondiali. Possiedono Terre Rare anche USA, Vietnam, Brasile, Russia, India, Australia, e Groenlandia. E si stima che anche il canale di Sicilia sia ricco di Terre Rare. Le Terre Rare in questo momento più ambite sono quelle del gruppo dei “super magneti”, ovvero il neodimio, il lantanio, il praseodimio, etc. Sono importantissimi per la produzione dei nuovi motori dell’auto elettrica, così come per smartphone e televisori, ma anche per tutta la filiera eolica, per la fibra ottica e per quella della diagnostica medica. Come si comprende, sono il cuore dell’innovazione tecnologica e digitale, motore a sua volta – insieme alle fonti energetiche rinnovabili – dello sviluppo sostenibile.

La fine della globalizzazione

Il mercato europeo del gas era già in crisi prima del conflitto ucraino per l’adozione della politica “green” dell’UE che poneva fine alla maggior parte dei contratti a medio e lungo termine di gas naturale. Il Green Deal per l’Europa significa autonomia industriale ed energetica che, per il momento, è ahimè piuttosto lontana. Lo abbiamo drammaticamente sperimentato in tempo di pandemia quando, all’inizio, eravamo senza mascherine. E siamo ancora oggi l’unico grande Paese a non avere un proprio vaccino: gli USA ne hanno tre (Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson), la Cina ha Sinopharm, la Russia ha Sputnik, la Gran Bretagna ha AstraZeneca. Ma ora che l’Europa punta alla sua indipendenza industriale ed energetica (quantomeno dal 2019), da chi lo compra il ​ gas? Già in tempo di pandemia, i più importanti studiosi del mondo – da Slavoj Žižek a Joseph Stiglitz, Jeremy Rifkin, Thomas Piketty, Romano Prodi, Giulio Tremonti, etc. – parlavano di fine della globalizzazione se non della crisi definitiva del palinsesto mondiale.

Il grande rifornitore della Cina

Putin e la sua propaganda non possono dire queste cose perché la riconfigurazione della globalizzazione lo esclude dall’Europa e lo proietta nell’orbita cinese. Deve creare delle nuove catene di valore, deve staccarsi dall’occidente, trovare delle risorse per accordarsi con la Cina e con i paesi dell’Asia. Questo processo è in atto da almeno cinque anni, dal famoso decoupling, cioè dal disaccoppiamento delle catene di valore, quasi uno sdoppiamento del potere occidentale e di quello asiatico. Putin mira ad essere il grande rifornitore della Cina poiché il colosso asiatico sarà la grande manifattura di riferimento dei paesi dell’area orientale. Al di l à del fatto che gli scambi si ridurranno, il punto è che per stare al passo, da una parte e dall’altra del globo, le catene del valore avranno bisogno di essere alimentate e rifornite senza rischi di rallentamenti.

Gli accordi del governo di Kiev

Al momento non ci sono grandi scambi tra la Russia e la Cina e lui sa che l’Europa, che lo ha reso ricco negli ultimi 15-20 anni, nel suo grande programma di autonomia energetica industriale si sta sganciando dalla Russia in modo traumatico adesso. Come afferma il grande Giulio Tremonti: “Non è questa guerra che fa finire la globalizzazione ma è la fine della globalizzazione che porta a questa guerra”. Putin vuole mettere sull’altare della sua alleanza senza limiti con Xi Jimping tutto il ben di Dio che è nascosto nelle viscere dell’Ucraina. Teniamo presente che negli ultimi otto mesi ci sono stati dei movimenti. A luglio 2021 il governo di Kiev si è accordato con la Commissione Europea ed ha firmato a Kiev un’alleanza strategica proprio intorno alle materie prime, appena dopo che erano state scoperte e a novembre 2021, dunque 3-4 mesi fa, la European Litium ha firmato un accordo con la Petrol Consulting, azienda di Kiev, la quale ha avuto in concessione dal governo ucraino lo sfruttamento di due giacimenti li litio. A novembre 2021, come riportato dalla stampa specializzata e come confermato dalla stessa azienda, la European Lithium Ltd – societ à australiana di esplorazione e sviluppo proprietà̀ minerarie che ha sede a Vienna – si è accordata con la Petro Consulting Llc – azienda ucraina con sede a Kyiv – che dal governo locale ha ottenuto i permessi per estrarre il litio dai due depositi che si trovano a Shevchenkivske nella regione di Donetsk e a Dobra nella regione di Kirovograd, vincendo la concorrenza dell’azienda cinese Chengxin.

Questo ha fatto suonare due campanelli molto rumorosi sia a Mosca sia a Pechino. L’esclusione dell’azienda cinese a favore di un’azienda europea ha confermato che nel famoso decoupling gli ucraini hanno scelto di stare con la catena del valore occidentale. Questa faccenda è insopportabile per Mosca. Primo perché pensa naturalmente che l’Ucraina sia storicamente un territorio russo; secondo perché nell’ottica di essere il grande fornitore della Cina non può perdere le sorgenti delle sue ricchezze.

La complicità tra Pechino e Mosca

Poco più̀ di tre mesi dopo, Putin manda l’esercito in Ucraina “per un’operazione di pace”. Cerchiamo di essere ottimisti. Osservo che è ragionevole e possibile trovare un compromesso non solo per l’interesse del mondo occidentale ma anche perché questo coincide con l’interesse della Cina. Ricordo che durante il primo lockdown non uguale per tutti in termini temporali, nei mesi tra febbraio e giungo del 2020 quando il mondo e le industrie si sono fermate, i cinesi hanno fatto incetta di materie prime in tutto il pianeta e questa è la principale ragione per la quale noi ci troviamo con l’inflazione al 7%. Dobbiamo comprarle dalla Cina ma appare evidente la complicità tra Pechino e Mosca. È interesse della Cina che scambia 400 mld di euro all’anno con l’Europa che questa cosa abbia una sua continuità perché una eventuale guerra mondiale sarebbe la fine di tutti gli scambi del mondo.

Davvero il mondo appare molto diverso da quello che abbiamo pensato per molto tempo.

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