La mancata zona rossa. Tante domande a cui trovare risposte (2)

novik zona rossa
Bergamo, le bare delle vittime del Covid sui camion militari

di Adet Toni Novik*

Una prima conclusione mi sembra quindi chiara. Il Covid-19 è venuto dalla Cina e in Italia nessuno ha diffuso volontariamente o colposamente germi patogeni. L’epidemia sarebbe stata contenuta se Alzano e Nembro fossero stati cinturati? Non lo so. Viste le modalità di diffusione del contagio, la latenza della malattia – alcuni dicevano 14 altri 28 giorni –, la presenza di asintomatici, chi potrà mai escludere che il contagio fosse avvenuto prima di un eventuale lookdown? Per non dire che adesso sappiamo che sin da dicembre/febbraio era stata diagnosticata una strana polmonite interstiziale. Non possiamo dimenticare che siamo nel campo penale e non sono ammesse generalizzazioni: quali sono, effettivamente, e non statisticamente, i casi che si sono sviluppati tra il 3 marzo, data di possibile chiusura della zona, e l’8 marzo quando fu chiusa l’intera Lombardia?

Si potrebbe dire. Ma, se la zona rossa fosse stata istituita subito, forse il contagio sarebbe stato contenuto, e non si sarebbe diffuso ulteriormente cagionando un maggior numero di decessi. L’argomentazione ha una sua logica e non può essere sottovalutata. Se si bloccano le occasioni di contagio, l’epidemia non si diffonde più. Però non ogni argomento logico diventa giuridico. Se si raddoppiano le corsie delle autostrade o i binari ferroviari gli incidenti diminuiranno: e allora? Le domande cui occorre dare una risposta sono tante. Quali erano le zone coinvolte il 3 marzo? E quali si sono sviluppate successivamente? Si ritorna evidentemente al quesito iniziale. E ancora, è possibile ricorrere al concetto di un ipotetico aggravamento del rischio contagio in conseguenza della mancata istituzione della zona rossa, dal momento che tutto quello che si ricollega all’iniziale sviluppo dell’epidemia è esso stesso espressione di epidemia, fenomeno, per definizione, di imponente ed incontrollata diffusione?

Nel diritto penale c’è un istituto che equipara colui che ha l’obbligo giuridico di impedire un evento a colui che lo ha commesso. Esso trova ampia applicazione nei reati del medico e del datore di lavoro: se il medico che ha in cura un paziente omette di prestare le cure appropriate risponde della morte del paziente che consegue a quella omissione, come se l’avesse cagionata lui; allo stesso modo, se il datore di lavoro, che ha un obbligo giuridico di adottare le cautele richieste dalla natura delle lavorazioni per evitare il rischio di infortuni, omette di attuarle, risponde dell’infortunio che ne deriva. È applicabile questo principio in caso di epidemia? La Cassazione in una recente sentenza (sez. 3, n. 9133 del 2018) lo ha nuovamente escluso.

novik zona rossa
Adet Toni Novik

I capi di imputazione per epidemia, contenuti nell’avviso di conclusione delle indagini, sono incentrati su mancati interventi, quindi omissioni, e si muovono in senso opposto. C’è di più, la costante della tecnica descrittiva adottata nella formulazione dei capi di imputazione dei reati di epidemia (capi A, C, D, F) equipara all’epidemia, come descritta nell’articolo 438 del codice penale, anche l’incremento dei casi, cioè il suo aggravamento. Nel campo penale vige il principio di tassatività. La libertà del cittadino può essere limitata solo nei casi tassativamente previsti dalla legge. Si può essere puniti solo per quello che è previsto come reato. Molti reati sono strutturalmente costruiti prevedendo che al verificarsi di una determinata circostanza la pena sia aggravata. Appartiene a questa categoria anche il reato di epidemia quando da essa derivi la morte di più persone. Esiste anche un’aggravante – l’articolo 61 numero 8 del codice penale – che aumenta la pena per colui che aggrava o tenta di aggravare le conseguenze del delitto commesso. Non esiste nessuna norma, invece, che equipari all’epidemia un suo incremento.

Evidentemente, rimane il problema delle morti nella zona coinvolta, che si dicono essere decuplicate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Qui il discorso è scivoloso, semplice, ma nello stesso tempo complicato. Semplice, perché rientra nel bagaglio di conoscenze giuridiche del giudice determinare le cause del decesso di una persona, cioé se sono individuabili responsabilità penali e a carico di chi; complicato perché il giudice non può ricorrere ad indagini statistiche – nei capi di imputazione si indica un aumento della mortalità di 4184 persone e 35 sanitari -, ma deve compiere una valutazione caso per caso, e quindi in relazione ad ogni singolo deceduto. In primo luogo per capire chi era, di quali patologie soffriva, per cosa è morto, quale il rapporto di causa-effetto con il virus. Come si vede, sono richieste indagini scientifiche complesse, che si scontrano con la triste realtà che abbiamo visto, fatta di file di camion che trasportavano corpi verso lontane destinazioni di sepoltura (se non sbaglio, cremazioni). E successivamente, il giudice deve accertare in concreto la colpa, in termini di prevedibilità ed evitabilità delle morti, dovendo tenere nel conto che l’Italia, e a seguire altre nazioni europee, è stata investita (uno tsunami) da un virus ignoto, in una situazione in cui per molto tempo si è navigato a vista, sulla base di informazioni contraddittorie, non conoscendosi le modalità di trasmissione dell’infezione e i protocolli medici da applicare (come si è visto nella difformità di approccio al virus della Lombardia rispetto al Veneto, e, in Europa, dell’Inghilterra e Svezia rispetto alle altre Nazioni) e nella mancanza di presidi idonei.

Mi ero trovato d’accordo con le parole del neo-procuratore della Repubblica di Bergamo che, prima di insediarsi, aveva dichiarato: «Non tutto ciò che può apparire sbagliato è per forza un reato». Le sue recenti dichiarazioni, attribuendo al giudice la ricerca della verità storica e scientifica, sembrano muoversi in una dimensione diversa da quella tipica dell’accertamento delle responsabilità penali individuali.

*già magistrato della Corte di Cassazione

2 – fine

novik zona rossa – MALPENSA24