Le nuove giunte: i voti si pesano, non si contano

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“Bisogna fare in fretta, perché abbiamo tanto da lavorare”. Lo ha detto Emanuele Antonelli, sindaco riconfermato di Busto Arsizio, parlando della formazione della nuova giunta. Si tratta di una dichiarazione che dovrebbe valere per tutte le amministrazioni civiche elette il 3 e il 4 ottobre scorsi e per quelle che troveranno legittimazione dopo i ballottaggi. Appunto, bisognerebbe fare in fretta. A Busto Arsizio come a Gallarate, le due città della provincia di Varese che hanno chiuso il discorso elettorale già al primo turno (Varese rinvia l’esito a domenica 17 e lunedì 18), il balletto per la nomina degli assessori si è avviato appena terminato lo spoglio delle schede. Con le solite manfrine delle segreterie politiche e dei referenti delle diverse liste, lesti a rivendicare poltrone, cadreghe e strapuntini sulla base dei consensi ottenuti.

E’ la legge della democrazia: chi prende più voti ha diritto a un numero di posti proporzionale al risultato. Non sappiamo se e come “si farà in fretta”; a dilatare i tempi intervengono gli accordi provinciali nel centrodestra, il cui obiettivo è accontentare tutti, ma proprio tutti: un vicesindaco a me, uno a te, un presidente del consiglio a loro, un altro a quest’altri. Il tentativo è di equilibrare la distribuzione degli incarichi in modo da non scompaginare la geografia politica del Varesotto.  Ragion per cui, sostengono gli addetti ai lavori, per capire come assegnare “pani e pesci”, sarebbe cosa buona e giusta aspettare che si tirino le somme nel capoluogo, dove allo spareggio sono in gara Galimberti e Bianchi.

Il problema è anche un altro, perlomeno secondo il nostro modesto parere. Siccome, come diceva qualcuno, “i voti si pesano e non si contano”, le squadre dei sindaci dovrebbero innanzitutto tenere conto dei meriti e delle competenze di ciascuno. Ma è una pia illusione, perché i partiti, comprese le liste civiche che menano il torrone sulla loro diversità rispetto ai modelli tradizionali, finiranno per contare i voti, non certo per pesarli. Ritroveremo così nelle giunte anche personaggi velleitari e improbabili, designati, è vero, dai cittadini col loro voto, ma comunque inadatti a gestire le attuali complessità amministrative.

Qui il discorso si amplia, prende altre strade, si inerpica sul tema della qualità della classe politica, sugli aspetti meritocratici che dovrebbero prevalere su altre questioni, soprattutto numeriche. Tocca inevitabilmente il senso civico di tutti noi. Comprendiamo che per un sindaco, che ha bisogno di assemblee comunali disponibili se non accondiscendenti, diventa difficile decidere di tagliare fuori chi, pur avendo fatto messe di consensi, non offre affidabilità amministrativa. Comprendiamo. Ma a questo punto la si smetta di raccontare che le competenze sono irrinunciabili, si dicano le cose come stanno, fino al punto da mettere in discussione il sistema di reclutamento dei candidati a sindaco e a consigliere comunale.  Perché non è vero che tutto fa brodo, perché mai come in questo momento occorrono amministratori coi controfiocchi, che capiscano dove sono e cosa fanno. Basterebbe ricordare l’occasione del Pnrr per evitare che a Palazzo arrivi chiunque.

I sindaci dovrebbero avere il coraggio di scegliere, senza riserve; di assegnare le deleghe con cognizione di causa, non sulla base dei desiderata delle botteghe politiche. I partiti, che esprimono i primi cittadini, però ci mettono il becco, eccome. Legati come sono alle logiche di sempre, dispongono e impongono. Logiche paradossalmente dettate dalla democrazia (ci mancherebbe altro), però imperfetta. A questo punto, Sandro Pertini chioserebbe: “Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie”. Come dargli torto?

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