Legnano, «lo zio mi ha violentata mentre andavo al catechismo». Lui nega tutto

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LEGNANO – «Lo zio mi ha violentata». E’ pesantissima l’accusa di cui è chiamato a rispondere un 50enne legnanese, incensurato, davanti al collegio del Tribunale di Busto Arsizio presieduto da Nicoletta Guerrero. Che durante l’udienza di oggi, mercoledì 4 marzo, si è vista costretta a disporre l’accompagnamento coatto di una teste. Precisamente la cugina della presunta vittima, che non si è presentata in aula senza fornire alcuna giustificazione.

La violenza raccontata al diario

La violenza sarebbe avvenuta quando la ragazzina (oggi quasi maggiorenne) aveva 11 anni. La denuncia è arrivata tre anni dopo. Quando la mamma o il fratello della ragazza – sul punto entrambi si sono contraddetti, come sottolineato dall’avvocato Giuseppe Lauria, difensore dell’imputato – trovarono un diario nel quale la giovane ha annotato l’accaduto.
La ragazzina è la figlia della sorella della compagna albanese del 50enne. Stando a quanto raccontato in sede di incidente probatorio lo zio l’avrebbe incrociata mentre andava a catechismo, offrendole un passaggio. Una volta caricata in auto, però, l’uomo non l’avrebbe accompagnata in parrocchia, ma avrebbe raggiunto un boschetto.

Il difensore all’attacco

«Quale parco, però, non si sa», ha sottolineato l’avvocato Lauria. Due possibili le ipotesi: il parco Castello a Legnano o il parco Altomilanese. «I fatti contestati sarebbero avvenuti intorno alle 15.30. Un orario in cui entrambi gli spazi verdi sono molto frequentati. Eppure nessuno ha visto o sentito nulla». Secondo quanto dichiarato dalla ragazza a quel punto lo zio sarebbe sceso dall’auto girando intorno al mezzo e raggiungendo una portiera posteriore per prelevare un fazzoletto. Quindi sarebbe tornato sui suoi passi rientrando in macchina e costringendo la ragazzina a subire un rapporto sessuale.
Sempre Lauria sottolinea come il suo assistito «sia affetto da zoppia e abbia una protesi ad una gamba. E’ rallentato e impacciato nei movimenti. L’intera operazione avrebbe comportato il trascorrere di parecchi minuti durante i quali, però, la ragazza non ha tentato di fuggire o di gridare per chiedere aiuto». Un comportamento che potrebbe essere stato dettato dalla paura. Secondo il difensore , invece, l’accusa è «una calunnia nei confronti del mio assistito forse motivata dal fatto che tra i due nuclei famigliari da anni i rapporti si erano incrinati. E del resto la stessa autorità giudiziaria a fronte di un’accusa tanto grave, fatti i dovuti accertamenti, non ha richiesto alcuna misura di custodia cautelare a carico del mio assistito che è sempre rimasto in stato di libertà. Non sarebbe mai accaduto in presenza di un ricostruzione solida».
Il 7 luglio si torna in aula. Nell’occasione l’imputato renderà esame «così come richiesto con impellenza», spiega il difensore. Il collegio potrebbe arrivare a sentenza.

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