Draghi ancora premier e un Colle “vintage”

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di Massimo Lodi

Pronostico: Draghi resterà a Chigi. Sulla panchina politica non siede la riserva di qualità. Dunque in campo lui, e ancora lui. Uno che rimette in sicurezza l’Italia pandemizzata e in crisi di sistema; garantisce sull’oculata spesa dei denari per il Pnrr; mostra standing internazionale migliore di qualunque suo pari grado; uno così lo rimuoviamo, promuovendolo notaio dell’equilibrio tra i poteri costituzionali? Vero che il Quirinale merita una personalità prestigiosa/competente, ma la migliore disponibile è hic et nunc chiamata allo strategico ruolo di governo.  Avviato un lavoro, e che lavoro, bisogna chiuderlo: specialmente a virus di nuovo pericoloso. Con un vantaggio: verrà dato tempo ai partiti di rifondarsi, se ci riescono. Presentandosi alle elezioni della primavera 2023, scadenza di legislatura, in decenti vesti. E fors’anche nuove, come sarebbero quelle d’un Ppe alla romana costruito sull’asse Berlusconi-Renzi-Calenda-Giorgetti (absit iniuria all’udito salviniano).

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Massimo Lodi

Che cosa persuaderebbe Draghi a non chiedere il cambio di palazzo? La proroga dell’attuale capo dello Stato, almeno sino a Parlamento rifatto. Il presidente si nega a un replay alla Napolitano. Sollecitato da tanti, potrebbe cambiare idea. Tanti o magari tutti, nel caso in cui i sostenitori del Mattarella bis fossero così numerosi da convincere la coppia Meloni-Salvini alla desistenza sull’anticipo d’elezioni. I due intonano ogni giorno la strumentale prece (“Draghi al Colle”) sicuri che dopo l’insediamento si voterebbe. Ma qualora s’alzasse un muro d’avversione all’ipotesi, batterebbero in ritirata. E del resto: davvero si pensa che deputati e senatori si suicideranno, andando a casa prima di tagliare il traguardo dell’indennità di quiescenza, fissato al 26 settembre?

Se invece Mattarella resistesse al pressing, va delineandosi – tra gl’innumerevoli – lo scenario impensabile sino a qualche tempo fa. Cioè un duello vintage tra Berlusconi e Prodi. Al di là delle smentite, entrambi credono d’essere l’ideale “alter Draghi”: un perfetto partner istituzionale. Berlusconi perché riabilitato in Europa, preferito dai moderati ai sovranisti, fatto segno nei sondaggi d’un gradimento popolare inferiore solo a quello del titolare di Chigi. Prodi perché antesignano dell’Ulivo 2.0 vagheggiato da Letta, capace d’incarnare la figura centrista innalzata dal Covid al top del consenso pubblico, gradito alle capitali del Continente dove lasciò buona impressione alla guida della Commissione Ue. Come si dice: a volte ritornano. Sono i revenants del passato, spesso migliori dei fantasmi della contemporaneità. Non a caso, il più immediato inseguitore di Berlusconi e Prodi nella scalata alla cima della Repubblica è Casini. Rivivremo democristiani, o pressappoco? Scommettiamo che sì.

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