Macronismo: crisi a Parigi e rimbalzo a Roma

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Emmanuel Macron

di Massimo Lodi

Macron  che perde il controllo del Parlamento in Francia diventa un problema per il Parlamento italiano. Nel senso che: 1) i populisti messi KO alle recenti amministrative e da pregressi rovesci/disavventure rialzano la testa, annunciando guerriglia ‘senza fine mai’ al governo Draghi; 2) i filoputiniani di M5S e Lega, più individualisti vari, riacquistano voce, segnalando il consenso rabbioso conquistato oltre confine da Melenchon e Le Pen, veicoli del disagio sociale; 3) il rassemblement  centrista che va coagulandosi attorno al possibile transfuga pentastellato Di Maio, alla triade Calenda-Renzi-Bonino, ai sindaci Sala, Brugnaro e Nardella, al governatore Toti eccetera deve scegliere: o patto subito o intesa addio; 4) il presidente del consiglio vede complicarsi l’agire suo e dell’Unione europea nella guerra Russia-Ucraina, con inevitabili ricadute sulla tenuta interna dell’esecutivo oltre che sull’alleanza di Bruxelles; 5) Conte e Salvini non vedono l’ora d’intralciare l’operato di Chigi, allo scopo elettorale d’indebolire la Meloni. L’idea è di monetizzare in voti – quando verrà il momento – il ruolo di governo e di lotta, finora non pagante. Anzi.

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Massimo Lodi

Scenario fosco. Però anche frustata utile. E cioè: se questo raggruppamento post democristiano (semplifichiamo, dandogli un’etichetta che aiuti a capire) deve venire in superficie, ci venga. Se scissione ha da verificarsi nell’M5S, nella Lega, in Forza Italia, si materializzi. Se a Letta tocca d’optare tra il campo largo dei presunti Melenchon italiani e la via stretta – però percorribile – d’un accordo col moderatismo riformista, scelga.

Ovvero: il passaggio dalla confusione al chiarimento potrebbe risultare agevolato dalla débacle del macronismo. Costretto il presidente francese a inventarsi alleanze inedite per reggere le sorti della République, obbligati i leader italiani a egualmente lavorare di fantasia per condurre in porto l’attuale legislatura – in cui non si escludono mortiferi agguati a breve – e soprattutto per preparare la successiva.

Aiuterebbe allo scopo una riforma della legge elettorale in chiave proporzionalista. Rifiutata a parole da molti, conveniente nei fatti a moltissimi. Specialmente se, non esaurendosi il conflitto bellico ed essendo certi i perduranti effetti collaterali, si rivelasse utile dopo il voto del ‘23 un governo Draghi bis o comunque nel segno del draghismo equivalente alla semiunità nazionale, se non all’unità. Prospettiva che non dispiace neppure alla Meloni: potrebbe intenderla come l’unica via per accreditare il suo ingresso nel governo italiano agli occhi d’altri governi dell’Occidente, Stati Uniti in testa, che diffidano dello sbarco sovranista a Roma. Con l’ombrello dell’ex capo Bce, la pioggia di scetticismo scivolerebbe via.

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