VISTO&RIVISTO Viaggio asfissiante nell’oscurità del delirio

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di Andrea Minchella

VISTO

THE LIGHTHOUSE, di Robert Eggers (Stati Uniti-Canada 2019, 109 min.).

Un viaggio potente e claustrofobico all’interno delle ombre più scure dell’anima umana. Un prodotto con una qualità stilistica che supera la sostanza del messaggio. Un perfetto “quadro”, angosciante e minuziosamente dipinto, ma che lascia qualche dubbio nello spettatore che assiste per più di un’ora e mezza alla pura follia dei due unici protagonisti della pellicola.

Eggers non riesce ad eguagliare lo spaventoso “The Witch”, ma certamente realizza un’opera “manifesto”, piena di citazioni e rimandi ai grandi maestri del cinema mondiale, che non lascia tuttavia il pubblico impassibile. Tratto in parte da una novella incompleta di Edgar Allan Poe, il film si incentra sulle vicende di Thomas Wake, irascibile custode di un faro di un’isola remota delle coste del New England, e del giovane Ephraim Winslow che raggiunge quell’isola per lavorare come guardiano, sotto la supervisione dell’anziano Wake. In questa sospensione senza tempo né spazio, assistiamo al rapporto tra i due che da subito si incastona in una dimensione di delirio e angosciante tensione.

Il giovane guardiano, interpretato da un eccessivamente plastico Robert Pattinson, comincia a nutrire dubbi sulla scelta di essere andato in quel luogo remoto e angusto, e sulla figura tanto autoritaria quanto misteriosa del vecchio Wake, interpretato dal poliedrico e sempre centrato Willem Defoe. Tra visioni e allucinazioni, la storia segue l’alternarsi del giorno e della notte e dei rispettivi turni di lavoro dei due abitanti dell’isola. Se di notte il vecchio Wake si occupa esclusivamente della luce del faro, che sembra avere una carica iconografica e mitologica, di giorno il giovane Winslow si occupa della manutenzione di tutta la struttura. La cena è l’unico momento in cui i due riescono ad avere uno scambio, a volte violento, a volte più umano. Se il giovane non nasconde di essere attratto dalla luce che emette il faro, l’anziano custode non nasconde, spesso, il disprezzo per un ragazzo troppo impreparato alla dura vita che ha scelto, e molto irrispettoso della gerarchia che, invece, è costretto a subire su quell’isola fredda, grigia e ipnotica.

Girato in bianco e nero, il film contiene parecchie citazioni che Eggers non sembra voler più di tanto nascondere: troviamo una fotografia ed un ritmo, soprattutto all’inizio, che ci ricordano “Il Settimo Sigillo” di Bergman. C’è una presenza asfissiante di grandi ed aggressivi gabbiani che ci ricordano il più potente dei film di Hitchcock. Ci sono i suoni angoscianti e litanici della sirena del faro che fanno correre la nostra mente al modo ossessivo di guarnire, con suoni assordanti ed ipnotici, le sequenze di Stanley Kubrick. La pellicola, ancora, si snoda tra grammatiche e stili che hanno reso alcuni film della storia del cinema icone da cui tanti giovani registi prendono spunto. Eggers confeziona una perfetta opera stilistica, poggiandola su di una vicenda piena di angosce, allucinazioni e figure mitologiche che si impossessano dei protagonisti. Il regista sembra non interessato all’effetto che tutto questo avrà sullo spettatore. Se ci rimane qualche dubbio sul significato dell’opera, allora, probabilmente, Eggers ha centrato l’obbiettivo. Egli, infatti, non ci dà soluzioni o risposte, ma ci vuole, nel migliore dei modi, mostrare un’altra faccia, spesso enigmatica e misteriosa, della follia umana.

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RIVISTO

SHUTTER ISLAND, di Martin Scorsese (Stati Uniti 2010, 138 min.).

Martin Scorsese realizza magistralmente questo progetto, tratto dal romanzo “L’Isola della Paura” di Dennis Lehane. Leonardo Di Caprio riesce a delineare l’inquietante ed enigmatico Teddy Daniels in maniera unica e disturbante allo stesso tempo. La vicenda si sviluppa all’interno di un macabro ospedale psichiatrico, l’Haschecliff Hospital, che si trova su Shutter Island, in cui due agenti federali, Daniels e Aule, devono indagare sulla scomparsa di una paziente ospite della struttura.

Ben presto l’indagine porterà i due agenti su strade pericolose e oscure che portano ad esperimenti e a pratiche disumane. Il racconto, grazie alla presenza di Scorsese, si permea di brivido e di angoscia, e ribalta completamente il punto di vista dei fatti che la pellicola racconta. Lo spettatore si ritrova, solo e terrorizzato, all’interno di un labirinto i cui punti d’ombra sembrano inghiottire le certezze che fino ad un certo punto del racconto pensava di aver consolidato.

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