VISTO&RIVISTO Quando la carezza diventa segno universale dell’accoglienza

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di Andrea Minchella

VISTO

VOLEVO NASCONDERMI, di Giorgio Diritti (Italia 2020, 120 min.).

Finalmente siamo tornati al cinema. E non lo si poteva fare in un modo migliore. “Volevo Nascondermi”, infatti, stava per uscire proprio quando l’Italia entrava nella fase più acuta e tragica della Pandemia. Del film si sono presto perse le tracce, come di altri film e di altri segni di vita. Ora, dopo una riapertura lenta e disordinata, riappare questo potente ed enigmatico racconto di uno dei più complessi autori italiani moderni: Antonio Ligabue. Giorgio Diritti dirige un originale e commovente ritratto di un uomo la cui vita diventa centrifuga incontrollata della sua creazione artistica. Un uomo le cui sofferenze diventano tratti indelebili sul suo volto martoriato dalla paura che ha del mondo che lo circonda. Diritti si affida alla recitazione corporale di un Germano che fa un passo in più rispetto al Favino/Craxi di Amelio; qui assistiamo ad una metamorfosi senza un uso abbondante di trucco. Germano non diventa Ligabue. Germano è  Ligabue, tanto da farci fare fatica, d’ora in poi, a riconoscere il pittore nelle foto originali.

Nella mente dello spettatore Ligabue assume completamente le sembianze dell’attore romano. Questo potrebbe bastare a muovere l’intero progetto di Diritti. Ma come accade nei suoi film, il regista ci regala un ritratto minuzioso e fortemente iconografico senza sbavature né facili stereotipi. Assistiamo al racconto dell’arte, quella vera, come immedesimazione completa dell’artista. Un’immedesimazione totale e corporale.

Diritti lascia che i primi venti minuti siano quasi tutti recitati in tedesco, perché Ligabue nasce e vive nei suoi primi anni di vita nella Svizzera tedesca delle montagne. Lo spettatore, smarrito, fa fatica a capire. Lo spettatore capisce come si sente il pittore: incompreso e rifiutato in un mondo incomprensibile e spesso spietato. La parola viene svuotata del suo significato, a favore dei suoni, degli odori e delle immagini. L’arte diventa lo specchio dell’anima di un uomo abbandonato dal mondo, ma che vive sulla sua pelle una seconda opportunità. Vive sulla sua pelle, da adulto e dopo un periodo di povertà e vagabondaggio, un’accoglienza e un’accettazione che placano temporaneamente i suoi dolori e che curano in parte le sue ferite.

A Gualtieri, piccolo paese emiliano di cui è originario il padre, Ligabue inizia a dipingere e a scolpire, immergendosi quasi completamente in una vera comunità. Qui le sue opere iniziano a catturare l’attenzione di esperti e colleghi. Ancora in vita Ligabue può godere di un certo successo che la sua arte, frutto di una ricerca ossessiva e primordiale della verità, e dell’esperienza diretta del dolore, riscuote sia in Italia che all’estero. Poco interessato ai soldi, Ligabue utilizza la sua arte come moneta, come merce di scambio per acquistare i beni di cui necessita: moto e macchine, prevalentemente. Quasi a voler essere sicuro, se ce ne fosse bisogno, di poter scappare e nascondersi di nuovo.

Dunque un film, questo, denso di simboli e di poesia. Carico di arte e di dolore. Diritti confeziona un’opera cruda e sincera che ci parla, in fondo, di come alla base dell’arte e del progresso ci siano la diversità e l’imperfezione, piuttosto che la l’omogeneità e la perfezione.

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RIVISTO

PIANO, SOLO, di Riccardo Milani (Italia 2007, 104 min.).

Tratto dal libro di Walter Veltroni, “Piano, Solo” ci racconta della breve e tormentata esistenza di Luca Flores, un musicista palermitano che nel Jazz ha potuto esprimere tutte le sue capacità autoriali ed espressive. Ritenuto da molti critici come un talento straordinario, Flores raggiunse l’apice della sua espressione artistica quando si esibì con Chet Baker. Presto però Luca si ammalerà di depressione e la sua vita, privata ed artistica, subirà un trauma non rimarginabile.

Ad interpretare il malinconico e introverso musicista c’è un superbo e sincero Kim Rossi Stuart che dona al personaggio tutta la sofferenza e lo smarrimento che solo la depressione trasmette a chi ne soffre. I silenzi e gli sguardi dell’attore romano squarciano lo schermo e trafiggono lo spettatore che inerme assiste ad una involuzione sentimentale e psicologica di un essere umano fragile e dolorante. Un’opera intimista e sussurrata che vale la pena ritrovare e riguardare.

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