VISTO&RIVISTO Capone, un ritratto amaro che non convince pienamente

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di Andrea Minchella

VISTO

CAPONE, di Josh Trank (Stati Uniti-Canada 2020, 103 min.).

Il Re è morto. Ed è anche nudo. Il più sanguinario e sbruffone boss della mafia del proibizionismo americano del secolo scorso ritratto nel momento più difficile e vulnerabile della sua esistenza. Dopo aver trascorso quasi dieci anni in prigione, il vecchio e malato Al Capone trascorse la sua esistenza in una maestosa e vuota tenuta in Florida. I federali di Hoover lo tennero sotto controllo fino alla sua morte, sperando di poter ascoltare verità o notizie riguardo le infinite attività criminali del boss che non furono mai portate definitivamente alla luce.

Il giovanissimo Josh Trank, classe 1984, si cimenta in un’operazione molto difficile che non riesce a portare totalmente a compimento. Trank, infatti, scrive una sceneggiatura che limita molto il complesso ed enigmatico personaggio che decide di raccontare in profondità. Il ritratto che il regista cerca di compiere risulta eccessivamente didascalico e svuotato di tutta la potenza che Al Capone, anche da malato, riusciva ad esprimere a chi lo circondava. Il bravo Tom Hardy, anche grazie ad un trucco realistico e penetrante, riesce in parte a far rivivere uno dei personaggi della letteratura criminale mondiale più controversi e più ombrosi. Al Capone ha trascorso la sua vita a raccontarsi come un semplice uomo, ma agendo come un lucido e spietato criminale che per parecchi anni ha tenuto sotto scacco l’intero “Bureau” che Hoover aveva creato proprio per dare la caccia a persone come lui.

Il racconto descrive la malattia dell’uomo, una forma grave di neuro sifilide che, anche a causa di un ictus, rendeva Capone spesso distaccato e vittima di allucinazioni. Accudito dai suoi fedeli collaboratori, dalla moglie Mae e dal figlio Albert Francis, Al Capone vive le sue giornate pensando, a ragione, di essere spiato, rivivendo alcuni momenti tragici della sua lunga e sanguinosa carriera, rivedendosi da piccolo già con le ferite che per tutta la vita sarà costretto a portare dentro di sé.

Il regista cerca di avvolgere l’intera narrazione in una sorta di pellicola onirica in cui il vero e il frutto dell’immaginazione del protagonista diventano un unico flusso narrativo. Questa scelta stilistica, però, a volte, cede il passo ad una eccessiva stereotipizzazione che limita e rallenta il tentativo di penetrare fino all’anima dell’inquieto e spesso assente “Fonzo”, come veniva chiamato dai suoi collaboratori. Il ritratto non convince proprio perché si poggia su una sceneggiatura troppo lineare ed appiattita. La difficoltà del regista, che nel 2012 sconvolse il mondo intero con il suo primo “Chronicle”, sta forse nella sua limitata esperienza nel raccontare le sfaccettature della vita di un uomo. Che sia Al Capone o un uomo qualunque, la prima cosa da fare è la sincerità nel voler raccontare l’uomo, ancor prima delle sue azioni che lo hanno reso quell’uomo. Solo un soggetto ed una sceneggiatura scritte partendo da questi presupposti possono rendere il lavoro del regista più facile e scorrevole. In assenza di una buona scrittura, dunque, il rischio di elencare fatti e non di raccontare un’anima è molto alto.

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RIVISTO

THE UNTOUCHABLES-GLI INTOCCABILI, di Brian De Palma (The Untouchables, Stati Uniti 1987, 120 min.).

Uno dei capolavori di Brian De Palma. Tratto dall’autobiografia di Eliot Ness, il film ci racconta, in maniera cruda e spettacolare allo stesso tempo, del tentativo di una squadra di polizia tributaria che cerca di incastrare, nella Chicago corrotta del proibizionismo, il potente e spietato boss Al Capone, interpretato da un camaleontico e potente Robert De NIroi. Ness, che è interpretato dal convincente Kevin Costner, cerca con la sua squadra, in cui troviamo, tra gli altri, i bravissimi Malone-Connery e Petri-Garcia, di ingaggiare una vera e propria guerra psicologica con un Al Capone che sembra non lasciare tracce delle sue attività criminali.

Solo un’attenta attività investigativa mette in luce un’evasione fiscale da parte di Capone che lo può mettere seriamente nei guai.De Palma compie un miracolo confezionando un racconto perfetto e lineare che si poggia su una costruzione scenica ed una sceneggiatura che hanno reso Brian De Palma un gigante di Hollywood. Da rivedere come fosse la prima volta.

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