VISTO&RIVISTO Tu vuo’ fa’ l’americano, ma si’ nato in Italy

minchella diabolik visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

DIABOLIK, di Manetti Bros. (Italia 2021, 133 min.).

Un film per nerd. Forse. Non saprei. Il personaggio di Diabolik, la sua storia, la sua influenza sono una faccenda molto complessa ed articolata.  Se sei nerd non per forza possiedi l’esclusiva di trasformare tutto quello che ti piace in arte. Non è così scontato. I fratelli Manetti sono dei cineasti abbastanza bravi se si occupano di fantasia e fantascienza che provengano dalle loro menti geniali e nerd, appunto. Ma un personaggio ingombrante e indefinito come il Diabolik delle sorelle Giussani è tutta un’altra questione. Bava, negli anni sessanta, a pochi anni dalla nascita e dal successo del fumetto che dava inizio ad una vera e propria corrente del fumetto nero italiano, aveva realizzato una pellicola perfetta e misurata, per l’epoca, che soddisfaceva pienamente il desiderio di ragazzi, e non, di assistere ad una messa in scena, originale e ben costruita, di un personaggio che nei fumetti esprimeva già un forte carattere, un fascino diabolico e un potente ascendente sul sesso femminile.

Il film del 1968, infatti, è un ritratto completo ed innovativo che rafforza e completa una delle figure più intricate e ombrose della letteratura fumettistica italiana. La bravura di Mario Bava aveva garantito alla pellicola una longevità ed una  originalità che ancora oggi la rendono rivoluzionaria e appropriata per il tipo di personaggio e per le vicende in cui si ritrova protagonista. Il lavoro dei fratelli Manetti, invece, disattende ogni aspettativa, rendendo inconsistente e vacuo un Diabolik inutilmente interpretato dal bravissimo Luca Marinelli. Forse i fratelli Manetti avrebbero potuto, e dovuto, immaginare un prodotto pensato più per una serialità che per un film solo. Il rischio di annoiare, soprattutto quelli che non conoscono in maniera approfondita il ladro mascherato, era elevato. La storia, scritta male, riprende il terzo numero del fumetto “L’Arresto di Diabolik” ma non fornisce in nessun modo elementi preziosi e sufficienti per conoscere la tridimensionalità del protagonista.

Il ritmo è snervante, le musiche impercettibili e prevalentemente assenti a favore di un vuoto acustico angosciante e completamente inutile per la narrazione. La brava Miriam Leone non riesce minimamente a scaldare i cuori dello spettatore, né quello del bel Diabolik, che svela il suo volto probabilmente troppo in fretta vanificando quel minimo di “suspense” in chi, inerme, sta assistendo alla lunga e slegata proiezione del film. Valerio Mastandrea risulta completamente inutile nell’interpretare un ispettore banale e bidimensionale. Roja e altri interpreti, forse spinti dalle indicazioni dei registi, apportano all’opera un’interpretazione mediocre e completamente non all’altezza di un film che vuole raccontare e celebrare uno dei personaggi della letteratura fumettistica italiana più apprezzati e amati di sempre. Sconcertante, poi, la scelta di affidare il ruolo della moglie di Diabolik alla presentatrice Rai Serena Rossi che non riesce ad imprimere nessuna connotazione umana al personaggio di Elizabeth, che invece racchiude in sé un significato emblematico e simbolico molto complesso e profondo.

Insomma, il desiderio di realizzare un film su Diabolik è apprezzabile perché con esso si vuole celebrare la potente e raffinata capacità degli italiani di aver creato, e di creare ancora oggi, personaggi fantastici che nulla hanno da invidiare alle icone della letteratura fumettistica statunitense. Ma la realizzazione di tale progetto non sempre, e questo film ne è la prova provata, riesce a trasformare il desiderio sincero e sentito in un prodotto di qualità, moderno ed innovativo. Il lavoro di Antonio e Marco Manetti è vittima di una bulimia di simboli e icone che vengono centrifugati tutti nello stesso contenitore ma che non danno vita ad un’opera godibile e misurata per un pubblico comunque disposto a fidarsi di un punto di vista originale e dissacrante come quello dei fratelli cineasti romani. Si salvano la canzone di Manuel Agnelli e il rombo potente e rotondo della splendida e reale Jaguar e-Type.

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RIVISTO

L’ARRIVO DI WANG, di Manetti Bros. (Italia 2011, 80 min.).

Un film tanto piccolo quanto angosciante e potente. Un epico Ennio Fantastichini che interroga per ore un inquietante e indifeso alieno che parla solo cinese. I fratelli Manetti realizzano uno dei più riusciti e asfissianti film di fantascienza italiani.

Innovativo e dissacrante, pauroso e demenziale. Un racconto unico che mette con le spalle al muro lo spettatore che fino alla fine non riesce a schierarsi. Un viaggio sincero ed innovativo nella paura più antica ed ancestrale dell’uomo, quella dell’ignoto e del diverso da noi.

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