Nel centrosinistra tanti Tafazzi a colpi di veti

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Giacomo Poretti, il Tafazzi del trio Aldo, Giovanni e Giacomo

Tutti i sondaggi danno il centrodestra in netto vantaggio alle elezioni di settembre. Fermare la corsa di un suo esponente verso Palazzo Ghigi appare un’impresa, alla quale sono chiamati i partiti del campo avverso, il centrosinistra. I quali partiti, al momento, litigano e, quando non litigano, vanno avanti a colpi di veti. E’ un fiorire di “quello no” rispetto a possibili quanto auspicabili alleati da contrapporre allo schieramento che vede Fratelli d’Italia svettare con un sonoro 23 per cento nelle intenzioni di voto.

 Ad accorgersi dell’operazione alla Tafazzi (il singolare personaggio che si martellava gli zebedei), operazione in cui si sono incanalati gruppi di centro e di sinistra è Enrico Letta. Il segretario del Pd ha rimosso il veto su Matteo Renzi, suo storico rivale fin dall’epoca in cui gli soffiò la presidenza del Consiglio.  Gli ha fatto eco il sindaco di Milano, Beppe Sala, che a Roma ha incontrato lo stesso Letta e Giggino Di Maio: “Senza campo largo non si vince” ha dichiarato in modo esplicito. Tentativi di ricondurre il dibattito interno allo schieramento a più concreti temi. Benché siano proprio i democrat, non senza ragioni, a non volere più accanto il Movimento Cinque Stelle, di fatto affossando, e non da oggi, il “campo largo” invocato da Sala.

Attenzione però, il primo cittadino milanese è contrario all’intesa coi grillini in Lombardia: “Not in my name, io non ci sto” risponde al capogruppo in Regione Fabio Pizzul, che per conto proprio invoca invece una riedizione  dell’apparentamento politico escluso dal suo partito a livello nazionale.

Dire che lo scenario sia leggermente confuso è fin troppo eufemistico. Nella serie dei “no tu no” (Enzo Jannacci ne aveva fatto il refrain di una memorabile canzone) svetta Carlo Calenda, che sbarra deciso la strada a Di Maio e alla sua neonata formazione politica. “Ma ce l’avete presente Di Maio, oppure no?” domanda sarcastico Calenda a chi gli pone la questione. Per poi elencare le scelte passate, molto discutibili del ministro degli Esteri, quando era nei Cinque Stelle. Se Calende non vuole Di Maio, nel Pd c’è chi non vuole Calenda. Motivo? Sarebbe d’intralcio all’alleanza con la sinistra di Nicola Fratoianni. Quest’ultimo a sua volta invita il Partito democratico a stare alla larga da Mariastella Gelmini che, fuorisucita da Forza Italia, si è accasata in Azione di Calenda. Tranchant il segretario di Sinistra Italia: “Noi con Azione non abbiamo nulla a che fare”.

Alla gara degli sgambetti a centrosinistra partecipano in tanti. Per dirne di alcuni, Clemente Mastella che, dileggiato da Calenda, gli restituisce il favore giudicandolo “un pariolino inaffidabile”. E ancora, Laura Boldrini che sbarra il passo a Calenda. Per arrivare a Giovanni Toti il quale, finalmente, interviene per smorzare gli animi. Il governatore della Liguria cerca di spegnere la furia degli uni contro gli altri con una frase eloquente al termine di una convention centristra a Roma: “Vabbè, ora tiriamo su le cazzuole e cerchiamo di ripulire il palco dai calcinacci”. Sarà possibile “rassettare la sala”? Se non lo fosse, e, per quanto possiamo capire, ancora non si intravede una soluzione, lunga vita al centrodestra di Meloni, Salvini e Berlusconi.

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