Per rispetto di Lidia Macchi continuare a cercare “Uomo X”

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di Adet Toni Novik

Nel mio commento “Il processo a Stefano Binda e il pendolismo giudiziario”, ripercorrendo le decisioni che hanno assolto definitivamente Stefano Binda, dichiarato innocente “oltre ogni ragionevole dubbio”, formulavo “l’amara considerazione che, a questo punto, un assassino è ancora in libertà”. Tuttavia, in fondo al buio si vede una luce. La logica, lineare e dettagliata sentenza della Corte di assise  di appello mi convince che ci sono validi motivi per andare avanti, e questa volta partendo non da suggestioni ma da fatti certi.

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Adet Toni Novik

Procedo per punti.

1) Entrambe le sentenze, di primo e secondo grado, convengono che la persona salita a bordo dell’auto di Lidia Macchi fu casualmente incontrata e non poteva essere uno sconosciuto perché Lidia era una ragazza prudente e avveduta. La sentenza di appello logicamente afferma che Lidia fu uccisa dall’individuo che ebbe con lei il (verosimilmente) primo e (certamente) ultimo rapporto sessuale completo della sua breve esistenza. Sulla natura di questo rapporto, se fu consensuale o imposto con violenza morale o con armi, ma non fisica, osserva la Corte, non è possibile formulare nessun giudizio (ma, mi domando, se fosse stato consensuale per quale motivo uccidere?). Quello che si può dire sulla base dei dati certi ricavati dall’autopsia è che l’omicidio avvenne dopo alcune ore in cui vittima e omicida erano rimaste in auto a colloquiare. Da qui, la logica conclusione dei giudici di appello che “con elevata probabilità, l’autore fu un individuo facente parte o comunque gravitante nel circuito relazionale della vittima (ovviamente esteso anche a conoscenze e amicizie estranee a CL e al Gruppo Scout) e non già un bruto casualmente incontrato nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio”.

2) La perizia genetico-forense ha evidenziato la, in precedenza sfuggita, presenza di formazioni pilifere maschili che, per loro collocazione specifica in zone coinvolte nella violenza sessuale, non potevano che ad essa essere collegate. Da queste formazioni è stato estratto un DNA che è stato confrontato con quello di tutti coloro che per una qualsiasi ragione professionale (dipendenti delle pompe funebri preposti alla riesumazione della salma, medici legali) hanno avuto contatti con il corpo di Lidia Macchi: l’esito è stato negativo, per cui la logica conclusione è che si tratta di materiale genetico dell’assassino/violentatore (UOMO X) che ha lasciato la propria impronta biologica “in una zona anatomica così significativa da poter essere ricondotta, con un margine di elevatissima probabilità, a colui che ebbe con la vittima l’ accertato, incontrovertibile contatto sessuale”. Il DNA non cambia nel corso della vita, si tramanda da una generazione all’altra, ed è un dato inconfutabile che, a ragione, viene definito come una prova regina. Un delitto di omicidio aggravato, come questo, non si prescrive mai e, quindi, il tempo trascorso non impedisce nuove indagini.

3) Riepilogando: abbiamo li profilo genetico di UOMO X e sappiamo che è un amico di Lidia Macchi. Il campo da esplorare è quindi abbastanza ristretto: l’entourage maschile di Lidia Macchi, e la nuova indagine sarebbe, come si esprime la sentenza di appello, in prospettiva, “ragionevolmente circoscritta a persone conosciute dalla persona offesa di cui ella si fidava, tanto da giustificare il bisogno o la voglia di trattenersi a conversare, fermando il veicolo e mettendo così in conto il ritardo rispetto all’annunciato rientro a casa per cena”.

L’esperienza dei casi simili indica il percorso da seguire. Nel 2002 per risolvere l’omicidio di una anziana pensionata di Valle San Silvestro a Dobbiaco in Alta Val Pusteria furono sottoposti a prelievo del DNA i 600 abitanti del paese. Il colpevole fu individuato. Nel caso di Yara Gambirasio sono stati raccolti 18.000 campioni del DNA. Il colpevole fu individuato. A Truro (Massachusetts) nell’indagine sull’omicidio di una redattrice di moda freelance gli inquirenti hanno deciso di raccogliere i campioni del Dna dei 790 abitanti della città.

Il rispetto per Lidia Macchi, per la sua famiglia, per Stefano Binda, al quale nessun risarcimento monetario potrà restituire i tre anni e mezzo di libertà perduta e l’angoscia vissuta, per l’intera comunità oltraggiata da questo omicidio, mi spingono a formulare l’auspicio che le indagini non si fermino a questo primo esito processuale.

Il processo a Stefano Binda e il pendolismo giudiziario

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