La crisi dei partiti, i satrapi al potere e Gigi Farioli

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Gigi Farioli

di Luigi Patrini

Qualche sera fa un amico di Busto Arsizio mi ha invitato ad un incontro con Gigi Farioli. Non gli ho detto che lo conoscevo già e che, comunque, non mi interessava sentirlo perché io voterò a Gallarate e non a Busto. Il suo invito, però, era molto insistente: era proprio sicuro che sentirlo mi avrebbe fatto piacere e, di fronte a tanta insistenza, non ho saputo dirgli “Non vengo!”.

Sono stato contento di esserci andato e voglio dirvi il perché. Era tanto tempo che non sentivo Gigi; lo avevo conosciuto poco più di una ventina d’anni fa, durante il breve periodo in cui avevo aderito anch’io a Forza Italia, dopo che il mio partito, la Democrazia Cristiana, si era sciolto frammentandosi in diversi rivoli. Ho appreso dai media la sua scelta di uscire da F.I. perché – così avevo capito – non ha condiviso la scelta dei vertici dei tre maggiori partiti del Centro-destra di coalizzarsi, spartendosi i candidati sindaci nelle maggiori città della provincia di Varese.

L’ho risentito con piacere perché mi interessava capire la sua scelta di uscire da F.I. e di dare vita ad una lista civica: anch’io avevo tentato qualcosa di analogo qualche anno fa, ma il mio tentativo non era decollato. Due cose mi sono parse interessanti in Gigi: la sua “libertà” di uscire da un partito, nel quale militava da anni e di cui era stato autorevole esponente, e la sua analisi sulla situazione politica attuale e sulla crisi dei partiti. In effetti, come sostengo da tempo, occorre che il Parlamento affronti il compito di formulare una legge seria che aiuti i partiti ad essere veri interpreti del popolo che li vota.

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Luigi Patrini

I partiti sono strumenti assolutamente necessari nella democrazia, perché mediano il rapporto dei singoli elettori (e delle loro organizzazioni della società civile) con le Istituzioni pubbliche. Che questo sia vero lo si capisce proprio riflettendo sullo sforzo che i “poteri forti” hanno fatto e stanno ancora facendo per screditare i partiti, riducendoli a innocui “comitati elettorali”. I partiti, infatti, sono sempre più riduttivamente identificabili con il loro “leader”, che li domina creandosi dei “cerchi magici” sempre più proni ai suoi voleri. Le preferenze sono ormai del tutto (o quasi) eliminate: è il leader che fa le liste e, quindi, la classe dirigente del partito dipende da lui, non certo dagli iscritti. Il fatto che molte persone serie rimpiangano quella che viene ormai definita “Prima Repubblica” non dipende certo solo dal fatto che quel periodo viene identificato con la propria giovinezza!

Gigi ha rotto lo schema: i partiti litigano sempre più furiosamente tra loro, anche quelli alleati spesso cercano di rubarsi elettori, ma in realtà c’è una tacita (ed evidente) intesa tra i leader, ognuno dei quali ha come obiettivo la sopravvivenza propria e quella del proprio clan. Più che leader o capipartito si sono ridotti a essere “satrapi”, come quelli che abbondano nel Medio Oriente. Satrapi, cioè persone che – come recita una definizione da vocabolario – “nell’esercizio di un ufficio o di una carica si distinguono per l’ostentazione o per l’abuso dei loro poteri e della loro influenza”: alla parola “satrapo” subentrano varianti diverse, quali “capitano” (ma gli aderenti ad un partito sono “militari”?), “mullah” (sono forse semplici “fedeli” da guidare nella preghiera?), “capo” (troppo “padronale” ed equivocabile!), alcuni preferiscano l’anglofono “leader”, certo più blandamente “laico”; pochi conservano i termini “segretario” o “presidente”, forse perché sono termini subdolamente evocativi della democrazia, cioè di un contesto in cui chi guida e dirige viene “scelto” dagli iscritti e non dall’alto o per auto-imposizione.

Tutti i partiti, nessuno escluso, sono oggi screditati e pure i loro leader sono sostenuti da “tifosi”, piuttosto che da un popolo che in essi si riconosce e che si impegna a sostenerli. Nella lista che sostiene Farioli ho visto persone che, probabilmente, voterebbero a destra e altre che voterebbero a sinistra: è, questa, la prova che destra e sinistra sono termini che appartengono al passato? Difficile rispondere: certo però questi termini hanno oggi un senso ben diverso da quello che avevano quando il mondo era diviso in “blocchi” che facevano riferimento a Washington o a Mosca.

In questo scorcio di legislatura restano cose urgenti ed importanti da fare. Occorre una nuova legge elettorale (quella attuale ha evidenti elementi di dubbia costituzionalità); occorre ripristinare la possibilità di esprimere preferenze “vere” sui candidati, modificando la bizzarra legge per cui si possono votare solo candidati di sesso diverso (ma Zan non si preoccupa di dare la possibilità di poter votare per candidati “transessuali” o “bisessuali”?). Vorrei esprimere almeno due preferenze, ma vorrei farlo a prescindere dal sesso dei candidati: vorrei votare per quelli che reputo più meritevoli di “rappresentarmi”! Anche le liste civiche spesso sembrano fatte per soddisfare il bisogno di spazio di qualche personaggio che, dopo aver girovagato qua e là, non sa accettare di farsi da parte, perché “ha bisogno” di …esserci!

Forse più che sui partiti bisognerebbe aprire una seria riflessione sugli elettori e aiutare tutti a capire perché metà degli elettori non partecipa al voto e l’altra metà vota sempre più spesso per contestare un sistema che appare sempre più inadeguato ad affrontare le tematiche più importanti e decisive in un mondo che, sempre più, appare privo di speranza e incapace di quel colpo di reni che ti fa alzare la testa e ti fa capire “dove” sta il problema. Non sarebbe meglio che tutti si impegnassero a cambiare i partiti dall’interno?

Oggi il vero problema è forse proprio la mancanza di speranza: la speranza, infatti, non può che nascere da una certezza. Ma oggi di “certezze” se ne vedono sempre meno, perché è sempre più diffusa una sorta di schizofrenia che ci rende incapaci di affrontare la vita percependone la bellezza ed il fascino: la vita è bella, la natura è bella, le relazioni umane sono belle, la sfida stessa del fare famiglia, dell’educare i figli, del partecipare alla vita sociale con responsabilità, anche questa è bella. Ma se non si sa alzare lo sguardo dal proprio ombelico non ce ne accorgiamo neppure!

“Omnis creatura bona”, diceva San Paolo, ripetendo quello che Dio creatore dice nella Genesi: “Vide che era una cosa buona”. Già, ogni creatura è buona, ma – come ben osservava Epicarmo, uno scrittore Siracusano vissuto tra il VI e il V secolo a.C. – “E’ l’intelligenza che vede, è l’intelligenza che ode, tutto il resto è sordo e cieco”. La speranza è certo un dono, ma per chi non sa sperare, c’è forse anche un problema di ….intelligenza!

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