Pd, la passione del ciapanò

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di Massimo Lodi

Nel Pd non sanno più cos’inventare per farsi del male. Tenaci nell’omerica/deleteria lungaggine del processo d’avvicendamento del segretario; ignari che il mancato ribaltone al vertice all’indomani del 25 settembre ha zavorrato la campagna elettorale per le regionali di febbraio; impermeabili ai sondaggi che li danno in caduta libera, con atterraggio oggi stimato da Swg al 14 per cento; lontani dalla percezione popolare, confusa davanti a un partito chissà se riformatore/moderato o progressista/radicale; determinati a pungersi tra di loro più che a insidiare il campo nemico; immersi in questo limbo nebbioso, i Dem sono andati allo scontro perfino sulle modalità di consultazione delle primarie, spostate tra lo sconcerto generale a dopo che Lombardia e Lazio avranno scelto i nuovi governatori.

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Massimo Lodi

L’iniziativa è stata di Elly Schlein, candidata con Bonaccini, De Micheli e Cuperlo alla successione di Letta. Sosteneva, al rovinoso modo grillino, l’opportunità di voto online. In disaccordo gli altri tre: recarsi di persona al chiosco delle urne. La direzione nazionale ha optato per il compromesso: sì al pronunciamento sulla rete solo in alcuni casi, tramite complessa procedura digitale e col supporto di giustificativa documentazione. Un arzigogolo in controcanto alla norma statutaria che escludeva quest’eventualità.

Le regole si cambiano durante la partita? No. Si modificano prima. Molto prima. E van rispettate, in omaggio agl’iscritti. La Schlein sapeva quali fossero. Se intenzionata a muovere obiezioni, doveva sollevarle con largo anticipo. L’insistenza in extremis lascia spazio al dubbio d’una dissociazione dal verdetto dei gazebo, quando sarà noto. Ciò che equivale a paventare l’ipotesi di scissione, l’ennesima d’un fronte politico storicamente specialista nel dividersi, con vantaggio dei contendenti di destra. In teoria il bersaglio d’una comune azione di sinistra, in pratica i beneficiari del giocare a ciapanò dei rivali, un agglomerato d’iraconde correnti invece che una squadra coesa.

Riservare l’ultimo, litigioso, surreale spettacolo a un’opinione pubblica già scossa/disamorata va oltre lo sbaglio. Significa che s’è perduto il senso del reale; e si misconosce il livello di suscettibilità d’elettori ritenutisi traditi; e si minimizza il danno ulteriore procurato al proprio standing da contrapposizioni accolte con fastidio e/o indifferenza; e si corre come un treno a duecento all’ora e fari spenti verso il muro della dissoluzione finale. Ciò che dispiace a ogni italiano, simpatizzante o antipatizzante del Pd: semplicemente affezionato alla democrazia, debitoria della virtuosa dialettica tra una solida maggioranza e una tosta minoranza.

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