Al tempo del Covid gli anziani e la lunga vita

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, questa feroce pandemia ci ha portato via moltissimi “anziani”. Per questo vorrei condividere con voi una riflessione. All’inizio del terzo millennio la vita media guadagna un decennio circa ogni due generazioni e progredisce ancora. Non più questione di lunghe vite occasionali come in passato destinate a singole persone, ma di longevità collettiva senza paragoni da millenni. La media italiana supera i 82 anni per gli uomini e gli 84 per le donne. Ho detto “media”, quindi con numerose vite lunghe e belle.

Questo produce complesse conseguenze sociali, psicologiche, economiche ed anche un altro modo di intendere la vita, la malattia e la morte. Gli antibiotici, le migliorate condizioni igieniche e le più adatte abitudini alimentari hanno prolungato la vita di tutti noi e, poiché la medicina non procura l’immortalità, ha inevitabilmente prodotto inguaribilità. La persona inguaribile è così costretta ad assistere al progressivo dissolversi del proprio organismo con l’impegno stravolgente di tentare di rimanere aderente a sé stessa ed ai propri valori fino all’ultimo.

Tuttavia siamo tanto orgogliosi dei progressi delle scienze mediche da parlare di trionfo della medicina e non in anni recenti. In tempi passati vi ho parlato di una commedia andata in scena per la prima volta nel 1923, scritta da Jules Romains (pseud. Di Louis Farigoule 1885 – 1972), dal titolo: “Knock o il trionfo della medicina”. La tesi del dott. Knock è che “i sani sono dei malati che si ignorano” ovvero che non sanno di essere malati. Una tesi provocatoria ma sulla quale è forse opportuno riflettere proprio oggi di fronte agli incredibili progressi della medicina tecnologica.

Oggi siamo tutti terrorizzati dalla terribile pandemia del Covid-19 ma anche altre micidiali malattie già conosciute come l’AIDS e l’epatite C e la presenza di numerose patologie come, per esempio, la SLA e l’Alzheimer e naturalmente il cancro con gli annessi e i connessi, dipingono nel cielo nubi minacciose, dense e nere poste all’orizzonte della vita. Arrivare a 90 anni è alla portata di molte persone ma comunque rimane faticoso e difficile e spesso ci si arriva perseguitati da malanni di vario tipo e, oggi, con la minaccia incombente della mortale infezione.

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Ivanoe Pellerin

Questa società rimuove i concetti di sofferenza e di dolore e nasconde la morte e di fronte alla persona anziana ha un atteggiamento ambiguo. Gli esempi sono tanti. L’anziano, quando non gli viene riconosciuto il bagaglio di conoscenze, di esperienza, di storie vissute e raccontate, spesso è solo. Non produce, consuma poco, entra di sguincio nel meccanismo economico di consumo e non entra o entra con fatica nel circuito relazionale sociale. Spesso è malato, molte volte è gravemente malato e dunque viene avvertito come un peso davvero difficile, a volte insostenibile, dalla famiglia che non è più in grado di accudirlo, soprattutto davanti ai gravi danni di una malattia progressiva. Chi conosce gli anfratti orribili per es. dell’Alzheimer, sa bene quanto sia difficile prendersi cura di queste persone, quale difficoltà e impegno di tempo e d’animo questo rappresenti. A volte si fa persino fatica a parlare di persone di fronte alla distruzione dell’identità originale di ciascuno.

A questo punto provo a introdurre un’altra questione: cosa dobbiamo fare perché la medicalizzazione della vita non si traduca in un’espropriazione della salute? Come impedire che la nostra conoscenza dello stato oggettivo della salute diventi un “trionfo della medicina”? Cari amici vicini e lontani, in questo tragico tempo di Covid-19 mi sembra un tema molto appropriato. Credo che non sia difficile che Voi conveniate almeno su alcune considerazioni generali che vi propongo.

La medicina per l’anziano non può essere considerata l’estensione alla vecchiaia del modello della medicina riparatoria che pure è perfettamente adeguata in altre fasi della vita. Un vecchio può essere “sano” anche se ha l’artrosi al ginocchio ed è duro d’orecchio (per non parlare dei valori del colesterolo nel sangue). Le procedure diagnostiche e terapeutiche non devono essere cieche rispetto al fattore età, così come ai valori ed alle preferenze individuali. Questa affermazione ci riporta alla qualità della vita percepita dalla persona.

Se ciò è vero ne consegue che il “benessere presuppone l’essere bene”. Noi non possiamo immaginare un vero benessere umano che sia privo di dimensioni essenzialmente etiche, capaci di dare una direzione al nostro modo di comprendere la salute e la malattia, la vita e la morte. Il medico dunque come persona, qualora decida di far ricorso alla propria umanità come fondamentale elemento di relazione e di riconoscimento dell’altro, persona anziana o no, può tentare di discernere ciò che appartiene alla patologia organica da ciò che appartiene al “mal d’essere” ed alle difficoltà del vivere dell’anziano. Per questo deve essere preparato a porre la Persona ed i valori di cui essa è portatrice, al centro della relazione medico – paziente.

Cari amici vicini e lontani, non posso fare a meno di ricordare che questo è proprio quello che propone da tempo la medicina palliativa, la cui cultura e corredo scientifico si impegnano a prendersi cura non solo del malato oncologico, ma di tutti gli inguaribili. Credo dunque che questa interpretazione possa essere estesa anche all’anziano quando diventa persona molto ammalata, spesso sola, particolarmente debole e fragile proprio perché “anziano”, esposta alle intemperie della vita quando sanno essere davvero cattive.

Cari amici vicini e lontani, proprio in questo difficile periodo continuiamo a considerare con simpatia e con orgoglio gli anziani, tutti gli anziani, che rappresentano la nostra identità, la nostra storia e le nostre radici.

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