L’uomo che inventò il Natale. E ci regalò la speranza

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, nonostante questo tempo malato a causa del Covid, nonostante Conte e le zone multicolore, per me non c’è Natale senza Dickens. Dunque, credo che molti di voi come me abbiano visto l’ottimo film diretto da Bharat Nalluri, “L’uomo che inventò il Natale” (The Man Who Invented Christmas), del 2017 con l’eccellente interpretazione di Dan Stevens e con altri comprimari come Christopher Plummer, Jonathan Pryce, Justin Edwards, Morfydd Clark. La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2008 di Les Standiford, a sua volta ispirato al celebre Canto di Natale di Charles Dickens. Mi è venuto alla mente che forse alcuni di voi non hanno letto proprio quest’ultimo romanzo (racconto lungo più che romanzo) ed io, agli amici vicini e lontani, mi sento di consigliare un attimo di tempo per recuperare questa magnifica lettura.

Nel mondo anglosassone Dickens viene ricordato soprattutto per questo libro, come “l’uomo che inventò il Natale”, cioè proprio la tradizione del Natale, quella che ancora oggi noi conosciamo e celebriamo. Per fortuna aggiungo io. Tutta la vita di Dickens fu straordinaria ma “Canto di Natale” fu come il prodotto di una folgorazione, l’intuizione geniale che superò di gran lunga il mero fatto letterario. Se ci ha cambiato in qualche misura il nostro modo di vivere, allora davvero questo Canto può essere considerato come il momento magico di un’esistenza, peraltro talentuosa, ricca di una prosa celebrata. Infatti nell’ottobre 1843, quando in sei settimane di ardente ispirazione Dickens, autore di soli 32 anni, già esaltato dai critici inglesi ma sofferente per il fallimento dei suoi ultimi tre libri, scrisse l’opera che sperava avrebbe tenuto a galla la sua famiglia e rilanciato la sua carriera, non immaginava certo la gloria che di lì a poco l’avrebbe colto e scaraventato di slancio nell’olimpo degli scrittori a livello internazionale.

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Ivanoe Pellerin

In Europa e in Inghilterra i tempi stavano cambiando velocemente. Vittoria era sul trono e la rivoluzione industriale procedeva tra orrori e glorie. Non c’era bisogno d’uno scrittore inglese per dare un senso cristiano al 25 dicembre, ma c’era forse bisogno di uno scrittore dell’Inghilterra vittoriana per creare il Natale dei tempi moderni. Come lamenta Cratchit con il padrone Scrooge nelle prime righe del libro, il Natale non era che un giorno di vacanza: appena il tempo per un piccolo regalo ai bambini e poi il ritorno alle fabbriche rugginose, ai freddi uffici della London dell’epoca, ai salari da fame. Dickens invece, vide nel Natale dell’altro, molto d’altro: “un giorno di allegria, di bontà, di gentilezza, di indulgenza, di carità, l’unico momento del lungo corso dell’anno nel quale uomini e donne sembrano disposti ad aprire liberamente il proprio cuore, disposti a pensare ai loro inferiori non come creature di un’altra specie destinate a un altro cammino, ma come compagni di viaggio, del medesimo viaggio verso la morte.”

Quando il libro esce è un best-seller immediato che vende seimila copie prima di Natale e diventa come ammette il rivale William Thackeray “un’istituzione nazionale”. Un industriale concede immediatamente ai suoi dipendenti un secondo giorno di vacanza e si dice che perfino lo storico Thomas Carlyle abbia ordinato un tacchino per il pranzo di Natale, come prescritto dal libro. Canto di Natale diventa davvero un trionfo e così nasce il Natale moderno. Se quello dei tempi passati coinvolgeva interi villaggi, questo nostro Natale è sulla misura della famiglia, oggi potremmo dire della famiglia moderna nucleare.

Questa favola bella e “moderna” racconta, come molti di voi sanno, la conversione di un avaro arrogante e insopportabile, Ebenezer Scrooge, che nella notte di Natale riceve la visita di tre fantasmi: il Natale passato, il Natale presente ed il Natale futuro. Il racconto lungo di Dickens è uno straordinario invito alla speranza, ad uno sguardo ottimista sul possibile futuro, ad una spinta straordinaria a guardare oltre l’ostacolo (scusate la banalità), a orientare lo spirito alla fiducia per un tempo finalmente buono. Credo che, in questo difficile momento, ci sia bisogno proprio di questo, di credere ai momenti migliori che di certo arriveranno! Lasciamo che la magia del Natale ci avvolga e ci spinga in quell’altrove dove ritroveremo il nostro equilibrio, la nostra voglia di fare e, lasciatemi dire (… è Natale), la gioia di vivere.

Come ottimamente scrive il critico Alessio Antichieri, dalla cui prosa provengono alcune mie considerazioni, la lezione di questa allegoria cristiana è che non c’è condizione umana, per quanto misera, che impedisca di essere buoni. Perché questo libriccino, che fonde il romanzo sociale al racconto di fantasmi, non è altro che la storia di una conversione. Eppure, grazie alla capacità dickensiana di unire misticismo religioso e superstizione popolare, non è una pura esortazione morale, ma incide molto forte sui nostri comportamenti. Questo ci ha lasciato in eredità Charles Dickens, l’uomo che inventò perfino l’augurio “Buon Natale”.

Cari amici vicini e lontani, questo è un invito. Nonostante le difficoltà di questi momenti, nonostante Conte ed i suoi comprimari, nonostante i DPCM, i tavoli tecnico-scientifici ed i ristori, nonostante l’Italia sia colorata di rosso e arancione, io sento il profumo del muschio del presepe, immagino la Madonna china sulla culla, intravedo le lucine dell’albero e lontano lontano mi pare di udire i suoni familiari della zampogna. Cari amici vicini e lontani, il Bambino che nasce è davvero la speranza, la più bella speranza che possiamo immaginare, ciascuno secondo il proprio pensiero e il proprio sentimento, ciascuno secondo la musica che sente nel proprio cuore, ciascuno secondo l’amore che gorgoglia in fondo all’anima, perché ciascuno già percepisce la magia del mondo. Allora anche noi, mes amis, intoniamo … il Canto di Natale! A’ bon fin toujours.

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