Mario Draghi, chi meglio di lui?

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di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, mi ha molto colpito un breve articolo di quell’irriverente di Vittorio Feltri che ha affermato con una certa sicurezza che al più alto colle di Roma salirà Mario Draghi sia per un curriculum di altissimo livello sia per la mancanza di competitors all’altezza. A ben vedere e secondo un sondaggio che ha fatto un grande rumore, gli italiani vedono sul colle del Quirinale appunto il Presidente del Consiglio e, distaccato di parecchi punti percentuali, Silvio Berlusconi. Il primo perché gode di un meritato prestigio internazionale, di meriti indiscussi e di grandi capacità non solo di mediazione ma anche di governo (Ça va sans dire); il secondo perché ha riacquistato una certa centralità nello scenario politico italiano, tanto che le procure di mezza Italia, allarmate, sono di nuovo “sul piede di guerra”. Bisogna riconoscere che fu Berlusconi a favorire la nomina di Draghi in Bankitalia contro il parere dell’allora ministro Tremonti ed in aperto conflitto con Angela Merkel.

Mario Draghi (1947), economista, è stato Direttore della Banca Mondiale dal 1984 al 1990, poi direttore generale del ministero del tesoro per 10 anni, dal 1991 al 2001, poi governatore della Banca d’Italia dal 2006 al 2011per approdare subito dopo alla Banca Centrale Europea fino al novembre 2019. Occorre sottolineare, d’accordo sia con i sostenitori (molti) sia con i detrattori (pochi), che Draghi è intervenuto almeno due volte per evitare il collasso della moneta unica. Ricorderete che al suo arrivo alla BCE la situazione politica europea era in grave difficoltà. Il governo Berlusconi era dimissionario in attesa del salvatore della Patria, Mario Monti, l’austerità aveva affossato l’economia in primis della Grecia e in secundis aveva messo in difficoltà quelle di Spagna e Portogallo, l’eurozona era in recessione. Di più. Molti speculatori temevano la paventata uscita dall’euro dell’economie più deboli come quelle di Spagna e Italia.

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Ivanoe Pellerin

In questo contesto a dir poco drammatico, Draghi afferma un incredibile cambio di rotta della politica monetaria con l’annullamento dell’aumento dei tassi deciso dal suo predecessore Trichet, solo qualche mese prima. Ma la vera svolta della politica monetaria di Draghi avviene nel luglio 2012 con il discorso (ormai celebre) del “whatever is takes” che segna, qualche mese dopo, la fine degli attacchi speculativi contro le economie degli stati del sud Europa. Sono certo che ricorderete l’altro famoso messaggio nel quale Draghi affermò: “…. La BCE è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà sufficiente.” È difficile fare la guerra contro l’economia di un paese quando la banca centrale è pronta ad agire come prestatore di ultima istanza. Così ha fatto Draghi, imprimendo di fatto un cambiamento nell’interpretazione di un possibile collasso di un qualsiasi paese dell’eurozona, pure in difficoltà. I successivi riallineamenti dello spread (che nessuno ricorda più) ne sono stati la cartina di tornasole. Naturalmente ha fatto molto altro ma mi sembra già meritevole ricordare questi “passaggi”.

Come si dice, è tutto oro quello che luccica? Forse no, ma quello che luccica fa una bella luce. Non solo a mio parere, il G20 non è stato un grande successo nelle sue conclusioni. Un compromesso al ribasso sul clima, una debole promessa sui vaccini e un accordo sulla tassa minima globale, già in opera mesi prima. È vero che a questo G20 mancavano tre attori fondamentali (con partecipazione in video) come Putin (Russia), Xi Jinping (Cina) e Bin Salman (Arabia Saudita) e che questo ha diminuito di molto la possibilità di raggiungere quei dettagli, grazie agli incontri bilaterali, che anticipano sempre gli accordi importanti. È vero anche che la progressiva cancellazione dei dazi su acciaio e alluminio ha dato a questa intesa un profondo significato politico. E il fatto che le due sponde della democrazia e della libertà non si facciano la guerra commerciale è di per sé un gran bel risultato.

In seguito. Se in 20 non hanno trovato un accordo ragionevole sui molti tavoli in discussione, non poteva andare meglio in 190 paesi divisi su tutto. Glasgow sta finendo esattamente com’era iniziata, con un sostanziale “nulla di fatto” nonostante gli sforzi di Boris Johnson, occorre riconoscere molto attivo sul campo; ma in questo andirivieni Draghi non c’entra.

Torniamo al problema iniziale. Per la prima volta la sinistra non ha tutti i numeri per eleggere il capo dello Stato. Per la prima volta i delegati regionali sono prevalentemente di centro destra. Per la prima volta Lega e Fratelli d’Italia si sono dichiarati favorevoli ad appoggiare Berlusconi. I renziani guardano ora a destra ora a sinistra ed i grillini sono allo sbando, sono truppe senza più un futuro in parlamento. Berlusconi al Colle aprirebbe uno scenario nuovo, libererebbe la gran parte dell’elettorato moderato di Forza Italia, tranquillizzerebbe Salvini e Meloni su un futuro possibile incarico, permetterebbe a Renzi e a Calenda di premere sui famosi elettori di centro in libera uscita.

Ciò è sufficiente? Io credo di no. Berlusconi è troppo divisivo e già la moltitudine dei nemici di ogni provenienza affila le armi. Un bis di Mattarella al Quirinale viene continuamente smentito. Non solo perché questo sottolineerebbe una “Repubblica d’emergenza” non giustificata dalla situazione sanitaria e finanziaria ma anche perché l’Italia non è oggi all’ultimo miglio. È molto significativo che, nella sua visita a Torino, il presidente abbia detto: “Il nostro è un grande paese, lo lascerò in ottime mani.”

Cari amici vicini e lontani, se avesse ragione quel “mattatore” di Feltri? Scrive che dal Quirinale Draghi potrebbe tranquillamente nominare una persona di sua fiducia che potrebbe garantire continuità all’attuale governo per le delicate pratiche che sono sul tavolo fino a fine legislatura. D’altra parte, guardatevi un po’ in giro: chi meglio di lui?

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