Cento anni di Pro Patria, il Baff la festeggerà con un documentario

BUSTO ARSIZIO – Giovedì 28 febbraio taglierà il traguardo dei cento anni di vita e, se non è la squadra di calcio più antica d’Italia, la Pro Patria rientra certamente tra le più antiche. Il fatidico anniversario sarà festeggiato con un documentario che ripercorre i momenti salienti e più curiosi della sua lunga storia. L’opera, realizzata dall’Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni, con il supporto della BA Film Commission, sarà presentato ufficialmente nella settimana del B.A. Film Festival in programma dal 31 marzo al 6 aprile.

Anima e corpo per la tribù del calcio

In questi giorni vengono girate le interviste a dirigenti, ex calciatori e storici, ed effettuate alcune riprese al Pro Patria Museum e alla squadra in allenamento allo stadio Carlo Speroni. Le immagini verranno poi alternate, nel montaggio finale, a materiali d’archivio provenienti dall’Istituto Luce e dalle Teche Rai.
Il documentario, ancora senza titolo, è prodotto dall’Istituto Antonioni ed è scritto e diretto da Claudio De Pasqualis, regista insieme a Caterina Taricano di “A qualcuno piacerà. Storia e storie di Elio Pandolfi” presentato al festival di Locarno. Leonardo Chierichetti e Matteo Colombo, con il fonico Emanuele Pullini, si stanno occupando delle riprese.
De Pasqualis ha raccontato: «Quando l’Istituto Antonioni mi ha contattato per propormi di dirigere un documentario sui cento anni della Pro Patria, ho accettato immediatamente. Sono onorato di essere stato preso in considerazione, ma soprattutto per avere l’opportunità di trattare cinematograficamente la mia vera e unica passione: il calcio. Perciò eccomi qui, a fare ricerche d’archivio e leggere libri sulla storia dei tigrotti. In questi giorni sto intervistando persone straordinarie, quasi mitologiche, capaci di ricordare anno per anno, partita per partita un secolo di calcio biancoblu. È un impegno importante, faticoso e difficile ma, se non dovessi soddisfare tutti, di una cosa sono certo. Sarò senza dubbio perdonato, perché si accorgeranno che anch’io appartengo anima e corpo a quella che l’antropologo Desmond Morris chiama “la tribù del calcio”».

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