Quale percorso per tornare alla normalità?

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di Antonio Tomassini*

L’attuale emergenza per la pandemia COVID sicuramente ha colpito tutti di sorpresa, ma anche qui dobbiamo pensare che alcune cose non erano prevedibili. Da tempo ad esempio c’era una forte deflessione di ricoveri per malattie infettive: ad esempio l’AIDS, uno dei peggiori flagelli, che aveva richiesto un grande impegno economico per strutture dedicate che attualmente sono in gran parte inutilizzate.

Pertanto ci siamo trovati nel mezzo dell’epidemia con una trasformazione del sistema in gran parte da completare, e quindi senza la sufficiente cultura per affrontare l’emergenza, ma di questo non si può incolpare un passato da cui discende una transizione coerente e condivisibile.

Ai primi allarmanti segnali del COVID sono stati intrapresi correttamente tutti i percorsi di prevenzione possibile ma di quella che si definisce prevenzione passiva: molto basata sulla cultura della prevenzione individuale e di quella sul contenimento pubblico. Anche in questo si possono segnalare errori:

+ essere andati nei luoghi d’infezione “a mani vuote” e senza sufficienti protezioni
+ avere incanalato i malati negli stessi luoghi di cura e percorso dei sani
+ avere consentito inutili sanificazioni di strade ed ambienti
+ aver chiuso parchi pubblici, laddove proprio nei luoghi aperti vi è la maggiore diluizione dell’infezione
+ non essere stati sufficientemente selettivi tra cosa consentire e cosa proibire, per cui chiuse attività utili ed aperte attività poco necessarie

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Antonio Tomassini

A tutto ciò, ripeto, si deve dare un giudizio indulgente e comprensivo, considerando la immediatezza del “fattore sorpresa”.  Bisogna dire che c’è da rimanere commossi e riconoscenti per la tanta obbedienza dei cittadini e la tanta generosa abnegazione di chi è dedicato ai servizi ed in particolare a quelli sanitari.

Ora però questa fase ormai datata da oltre un mese ha prodotto il suo massimo effetto ed è quindi necessario passare dalla prevenzione passiva fatta finora ad una prevenzione attiva. Questa decisione non riguarda solo il tema della sanità, ma riguarda tutto il sistema sociopolitico.

Quale modello seguire? Quello della Cina, enfatizzato, fatto di silenzio, di dati incerti non verificabili, di maneggi di pericolose sostanze e con risultati miracolistici poco credibili? O piuttosto il modello Corea, simile in Europa a quello della Svezia, molto attivo, tendente a separare i “sani” rispetto ai “malati” (paucisintomatici, sintomatici, gravi) e seguire poi con i dati individuali tutti i selezionati?

Appare chiaro che abbiamo i giorni contati per poter pensare ad un percorso che consenta nel breve un riavvio ed una ripresa della vita socioeconomica lavorativa più normale. Se spesso assimiliamo l’attuale condizione ad una guerra, dobbiamo ricordare che nella Prima Guerra Mondiale, dopo Caporetto, ci fu la Linea del Piave per la resistenza, e poi la nuova coscrizione che scelse persone più giovani, talvolta giovanissime, da rimandare al fronte e ciò ci consentì una grande vittoria, pur con un tributo rilevante di morti.

Un insegnamento già utile per la sanità è emerso con chiarezza. Quella sanità oltre a concludere il percorso di transizione deve prepararsi ad una precisa cultura dell’emergenza per far fronte a questa ed altre simili calamità.

Noi per ora abbiamo pensato all’emergenza come un problema di “protezione civile”, in cui siamo tra le più belle realtà mondiali integrando nell’azione vigli del fuoco, esercito, polizia, croce rossa (con qualche rimpianto d’aver abolito il corpo militare) ed associazioni di volontariato.

La sanità proprio in questa evenienza ha mostrato come poco sia integrata in questo sistema e poco preparata ad una flessibilità che ci potrà venire spesso chiesta in futuro (nuove epidemie virali, inquinamenti ambientali, disastri nucleari ecc.).

Tutto ciò richiede:
1)  task force (medici, infermieri, servizi specializzati) precettabili in breve tempo
2)  ospedali mobili ed accoglienze per vasti strati della popolazione, materiali specifici in grande quantità (ad esempio mascherine, apparecchi di respirazione e  device avanzati)
3)  percorsi e linee di cure distinti e separati dall’ordinario
4)  sviluppare quanto già era stato avviato a seguito della SARS. e della MERS: laboratori, centri di  triage  e unità di valutazioni, tecnologie avanzate, centri di ricerca specifici (per terapie, innovazioni tecnologiche, sistemi diagnostici innovativi)
5)  una rigida linea gerarchica di decisione e comunicazione che eviti la babele delle informazioni e soprattutto impedisca le informazioni false e pericolose

Sentiamo spesso ripetere, soprattutto al fine di avere una formale unitarietà e poco dissenso, che ogni decisione viene presa al fine di tutelare la salute dei cittadini.

La domanda spontanea: ma quale salute intendiamo tutelare?
Quella che riguarda l’epidemia COVID?
Quella che riguarda le altre malattie di cui sembriamo esserci dimenticati?
Quella del benessere fisico, mentale, economico?

Tutti sono elementi fondamentali per la salute, e bisogna fare necessariamente delle scelte per decidere quali far prevalere o qual è il punto più avanzato di equilibrio per salvaguardarle tutte!

* Presidente Associazione di iniziativa Parlamentare per la Salute e la Prevenzione Medico Chirurgo – già Senatore della Repubblica

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