Quirinale e Chigi: non cambiare la coppia virtuosa

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Mattarella/Draghi: la coppia virtuosa

di Massimo Lodi

Lo spettacolo è indecoroso, stucchevole, irritante nelle ambasce dell’emergenza sanitaria, economica e ora anche politica, visti gli eventi al confine ucraino. I partiti hanno avuto mesi per approntare la successione alla presidenza della Repubblica e si son ridotti in extremis alla blasfema liturgia delle candidature scelte allo scopo d’esser bocciate; degli ammiccamenti obliqui in malizioso codice; degli urticanti dispetti personali; dell’improvvido “non senso dello Stato”. Blaterano d’alti profili e trafficano in bassezze mercantili, degradando la virtuosa arte del compromesso all’infesto vizio del ‘do ut des’.

Si dice: è sempre andata così, poi le cose s’aggiustano. Sono le regole del gioco. Eh no. Quando la situazione del Paese s’apparenta a un cimento bellico, impone comportamenti diversi. Rifiutandoli, si fa rider verde inneggiando a “un patriota al Quirinale”. O celebrando, senza mostrarne la carta d’identità, fantomatiche (Sabino Cassese a parte) “personalità d’alto profilo”. O dichiarando di lavorare a un inesausto trattativismo “nell’interesse degl’italiani”. Ma quale interesse. L’interesse dei partiti, questo sì e specialmente. Alcuni nel 2018 han fatto il pieno di consenso grazie al populismo/sovranismo e ripagano gli elettori con manfrine indegne del favore riscosso.

Arrivando al dunque. La strada maestra era e rimane una. Nel febbraio scorso Mattarella, preso atto dell’incapacità parlamentare a eleggere un nuovo governo dopo i fallimenti del Conte1 e del Conte 2, investì Draghi dell’incarico di premier. Tre le “mission”: fronteggiare la pandemia, tamponare la crisi economico-sociale, utilizzare al meglio gli aiuti europei del Pnrr. Passato un anno, siamo a metà dell’opera. Ovvio (1) che la debba proseguire chi l’ha iniziata, cioè Draghi. Ovvio (2) che le sue spalle debbano essere protette da chi l’ha gravato d’un simile peso, cioè Mattarella. Se ne facciano una ragione Draghi, rinunziando da “nonno al servizio delle istituzioni” a interpretare un ruolo diverso; Mattarella, rinunziando al proposito di rifiuto del bis, così da proseguire nel servizio alla nazione; i partiti dell’attuale maggioranza di semiunità nazionale, rinunziando a regolare adesso i loro conti di potere.

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Massimo Lodi

Verrà il tempo d’incrociare i coltelli l’anno venturo, al rinnovo della legislatura, magari uscita da una legge elettorale corretta al modo proporzionale. Toccherà al neo-parlamento, meno numeroso dopo la riforma, fiduciare il governo in carica oppure no. Ai partiti ribadire le alleanze in essere o modificarle. Al titolare di Chigi valutare se rimanervi, qualora richiesto, o andarsene. All’inquilino del Quirinale decidere di non interrompere il Settennato 2.0 o invece sì, favorendo la successione che ora appare come minimo sconveniente, e come massimo disastrosa per le conseguenze sul piano internazionale. Sia agli occhi dei leader d’altri Paesi sia alle orecchie dei mercati finanziari che son lì pronte a fischiare, infliggendoci il penalty della più rovinosa sconfitta. E allora, come diceva la saggezza latina, “age quod agis”, continua a far bene ciò che stai facendo. Eccolo, l’appello a Mattarella, a Draghi, a senatori/deputati/delegati regionali, ai leader di destra, centro e sinistra: continuate nella larga intesa -anzi, ampliatela se possibile- per tirarci fuori da questa sventurata stretta.

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