Regionali: Moratti, Pd e modello Galimberti

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Il Pd lombardo e il modello Varese che fece vincere Davide Galimberti alle amministrative

di Massimo Lodi

Nel 2016 cadde il ventitreesimo anno della governance leghista a Varese. Dal ’94 in poi Berlusconi aveva lasciato a Bossi decidere sul candidato sindaco: un do ut des. Il Cavaliere sostenuto nella capitale dal Senatùr, il Senatùr sostenuto nelle città nordiste dal Cavaliere. Fu così che a Palazzo Estense s’avvicendarono borgomastri – come li si chiamò all’inizio – uno dopo l’altro, ultimo dei quali Fontana per due mandati consecutivi.

Il centrosinistra finì peggio che ai margini: si trovò esiliato a casa sua dopo la lunga stagione del pentapartito, contando zero. Per compiere la traversata lunga/improba della riscossa, un iscritto Pd ignoto alla maggioranza dei varesini iniziò a remare da una sponda lontanissima dall’approdo, alcuni mesi prima delle amministrative del citato 2016. Si chiamava Davide Galimberti, neppur quarantenne, avvocato, movimentatore da tempo del dibattito interno al partito. Grazie al suo dinamismo, strinse alleanze che gli permisero di conquistare le primarie, battendo il favorito, l’ottimo deputato Daniele Marantelli. E poi, da antagonista del centrodestra (che avrebbe schierato Paolo Orrigoni), iniziò a tessere la tela di un’intesa ampia – oggi diremmo campo largo – indispensabile a imporsi.

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Massimo Lodi

Un’operazione di successo. Pd più sinistra più lista civica Varese 2.0 più (al ballottaggio) il partito di Airoldi-Malerba ottenne l’impronosticata vittoria. Sotto una bandiera dall’unica, evidente, coloratissima tinta: il realismo. Se non ci si fosse indirizzati su questa strada, poi ripercorsa felicemente nel 2021 da una carovana simile, il centrodestra avrebbe continuato a regnare su Varese e il centrosinistra a valere il due di picche.

La piccola storia dovrebbe insegnare qualcosa al grande Pd lombardo, in vista delle regionali del febbraio venturo. Il fronte Salvini-Berlusconi-Meloni non lo si batte dividendosi fra centristi e sinistri, moderati e radicali. Lo si sconfigge tenendosi insieme. Non contrapponendo Majorino alla Moratti, trovando invece la convergenza. E si può anche dire di no alla Moratti, ma solo se pronti a fare un nome d’ancora maggiore rilevanza, e meriti pregressi, e impatto più popolare, e capacità di coesione, eccetera. La Moratti lancia una sua lista civica, il Terzo Polo l’appoggia, quale pragmatico ragionamento impedisce al Pd d’aderire al progetto? Se l’ex vice di Fontana esce dalla giunta attuale, si dissocia dal melonismo, porta esperienza manageriale e politica nello schieramento che al Fontana bis si oppone, perché rifiutare a priori un patto che eviterebbe al centrosinistra di soccombere prima di giocare? Sarebbe la Moratti che fa perdere voti al Pd o il Pd che guadagnerebbe quelli sottratti dalla Moratti a Salvini-Berlusconi-Meloni?

Milano non guarda alle periferie per imparare, tantomeno a Varese. Però un modello Varese esiste e sarebbe degno di ricevere, almeno di sfuggita, l’occhiata degli strateghi del Pd lombardo. È il modello Galimberti: pratico, agile, persuasivo. Non si picca d’essere un teorema dal sofisticato input ideologico, testimonia semplicemente dell’inutilità dell’astrattismo, del logoramento dei pregiudizi, di quanto sia perdente la forma nella partita con la sostanza. Il nostro Galimberti non va al Pirellone, ma per insediarsi al Pirellone sarebbe utile andare verso un immaginifico Galimberti. 

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