“La storia del coronavirus a Bergamo e Brescia”, anatomia di una strage

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I camion dell'Esercito trasportano le vittime del Covid, immagini che ci hanno cambiato la vita

In pochi giorni è entrato nei primi cento Best Seller di Amazon e addirittura fra i primi trenta nei libri di giornalismo. E a buon ragione. Perché in ‘La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia‘ il giornalista Giuseppe Spatola ha raccontato chirurgicamente l’anatomia di una strage: la morte, la paura, il terrore, la malattia, la distruzione di un mondo, l’annullamento dei rapporti sociali. Non pensieri astratti ma un vissuto sul campo da cronista rigoroso ed equilibrato – disincantato il giusto e distaccato quanto si deve – ma anche capace di non spegnere la drammatica realtà.

Il libro (160 pagine, 12.90 euro), pubblicato da Typimedia Editore, è stato scritto in presa diretta da chi ha messo nero su bianco – inviato di ‘Bresciaoggi‘ e un passato al Corriere  ella Seracentinaia di articoli sugli effetti della pandemia, sulla disperazione, sulle famiglie coinvolte, sulle bare, le cremazioni, sulla dissoluzione di ogni certezza. Sulle tante  storie dirette e indirette del Covid, quelle che trovano spazio sui media e attirano l’attenzione dei lettori, ma che Spatola ha descritto con stile asciutto trattenendo il dolore personale e la voglia di fuggire da un’inferno materiale e morale.

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Giuseppe Spatola

I dati riportati parlano di almeno 5 mila persone morte secondo i report ufficiali, ma le vittime sono molte di più, e di oltre 25 mila contagiati: Bergamo e Brescia, due province confinanti che per cultura e imprenditorialità sono il cuore pulsante della regione note per l’antagonismo e il campanilismo, hanno messo da parte ogni competizione e hanno fatto squadra come è tipico della cultura lombarda e italiana quando è necessario. E’ stato descritto tutto l’orgoglio e la forza di reazione di una comunità plurale ferita, ma non uccisa.

Anche a una lettura a caso, random come si usa dire, ne ‘La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia’ nulla è stato tralasciato: dalla sottovalutazione iniziale, alla diffusione della malattia, agli errori gravi e in buona fede, all’incubo negli ospedali, alle cremazioni, al tracollo industriale. Fino a la solidarietà nazionale e internazionale, la riscossa, il lavoro dei medici e degli infermieri decimati, la riconversione delle imprese per produrre i dispositivi di sicurezza e alla consapevolezza della collettività di trovarsi dentro un incubo reale.

L’autoanalisi sul libro dello stesso autore è più significativa di mille parole: “Perdonatemi se non uso metonimie o giri di parole, ma il Coronavirus dopo mesi di trincea mi ha tolto la capacità di mediare e mentire – dice Giuseppe Spatola raccontando il lavoro fatto nel quotidiano che ha trasferito nel libro -. Se è vero che i numeri della pandemia disegnano scenari inimmaginabili, la realtà è oltre ed è un dramma senza fine. Brescia e Bergamo sono diventate moderne capitali del dolore dove due generazioni di uomini e donne sono state spazzate via da un morbo che per alcuni doveva essere ‘poco più di una influenza’. Alla faccia. Credetemi se vi dico che in 25 anni di carriera giornalistica, prima al Corriere della Sera e quindi al Bresciaoggi da inviato, di cadaveri ne ho visti e raccontati a decine. Sono il classico ‘nerista’ cresciuto in marciapiede e davanti a un servizio di cronaca sono sempre stato il primo a partire e l’ultimo a tornare. Ho sempre detto che, una volta messomi in strada, sarei stato in grado di portare a casa sempre una riga più degli altri. Ma oggi, ogni sera che chiudo le pagine del Bresciaoggi, mi ritrovo a piangere da solo. Piango perché fare ogni giorno la macabra conta di incolpevoli morti segna il cuore e blocca la tastiera. Penso che non ci siano parole per poter rispettare tutti questi lutti. Io da un mese scrivo e conto ogni benedetta croce che non ha potuto avere un saluto, un abbraccio e una benedizione. Per tutte queste vittime innocenti il libro dovrà essere un monumento scritto della memoria che inviti a ragionare e a mai dimenticare”.

Un monumento anche per il presente oltre che per il futuro. Per dire che bisogna radicalmente trasformare – qui e ora – il servizio sanitario nazionale garantendo interventi sul territorio tempestivi ed efficaci e ospedali e case di cura per anziani tecnologicamente avanzati e con spazi e protocolli che non consentano mai più la propagazione di un virus, qualunque virus.

Angela Bruno

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