Taiwan o non Taiwan? Questo è il problema

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Venti di guerra nei mari attorno a Taiwan?

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, sono certo che condividete con me molte preoccupazioni circa la situazione sempre più tesa che si sta realizzando tra USA e Cina dopo la vista a Taiwan di Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti. L’isola è poco più grande della Lombardia, ha circa 23 milioni di abitanti e dista 180 Km dalle coste cinesi. La Cina ha innalzato lo stato di allerta delle forze militari e ha dato inizio alle più grandi manovre intorno a Taiwan mai viste prima. La situazione è davvero difficile e, per conoscerla meglio, facciamo un passo indietro intorno alla storia di questa isola.

Dagli anni 1930 in poi nella Cina continentale vi fu una terribile una guerra civile fra il governo della Repubblica di Cina (RDC) di Chiang Kai-shek ed il Partito Comunista Cinese guidato da Mao Zedong. Quando la guerra civile terminò nel 1949, due milioni di rifugiati, provenienti prevalentemente dai territori controllati dal governo nazionalista (RDC) fuggirono a Taiwan. Il 1º ottobre 1949, nella Cina continentale fu fondata la Repubblica Popolare Cinese (RPC) dai comunisti vittoriosi; parecchi mesi prima, Chiang Kai-shek aveva stabilito una capitale provvisoria della RDC a Taipei e là aveva insediato il suo governo.

Chiang Kai-shek morì nell’aprile 1975, e alla presidenza gli succedette Yen Chia-Kan, mentre suo figlio Chiang Ching-Kuo subentrato alla guida del partito del padre (Kuomintang) pose le basi che condussero agli incredibili successi economici di quei territori a partire dalla metà degli anni ‘80. La sua amministrazione vide un allentamento dei controlli politici e agli oppositori fu concessa una graduale libertà. Le riforme furono promulgate sotto il successore di Chiang, Lee Teng-hui, culminando nel 1996 nella prima elezione presidenziale diretta mai tenuta. Nel 2000, Chen Shui-bian fu eletto presidente, divenendo il primo presidente di Taiwan. L’elezione del presidente Ma Ying-jeou nel 2008 segnò il secondo pacifico trasferimento dei poteri e l’affermazione della democrazia a Taiwan, secondo i criteri occidentali.

La situazione si presenta molto complicata per l’importanza strategica che l’isola rappresenta nel Mar Cinese Meridionale dove transitano i maggiori trasporti navali e quindi l’energia indispensabile non solo per l’occidente e per le nazioni che si affacciano sull’Indo-Pacifico ma soprattutto per due importanti alleati degli USA, Giappone e Corea del Sud. Taiwan è ormai considerata una superpotenza che produce moltissima tecnologia e la maggior parte dei semiconduttori mondiali (cellulari, centraline, ecc…) e la sua caduta in mani cinesi farebbe saltare gli equilibri dell’Indo-Pacifico dove si gioca il futuro del pianeta.

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Ivanoe Pellerin

L’Australia e il Giappone stanno già sviluppando una relazione militare che comprende esercitazioni congiunte di combattimento aereo e marittimo e un “Visiting Forces Agreement” (Accordo sulla Forza in Visita). Non solo l’Australia e il Giappone, ma tutti i paesi della vasta regione indo-pacifica concordano sul fatto che le rotte marittime internazionali debbano essere mantenute aperte. Questo è il vero problema della regione. Il che comporta il rifiuto delle rivendicazioni di sovranità territoriale che la Cina avanza sul Mar Cinese Meridionale, come anche la condanna delle dichiarazioni cinesi in base alle quali le isole artificiali che costruisce nell’area sono parte della Cina proprio come lo è il Sichuan.

Come vi ho già riferito, sia il Giappone sia l’Australia cooperano con la marina di Nuova Dheli nell’ambito del Quad, Quadrilateral Security Dialogue (Dialogo Quadrilaterale per la Sicurezza), che include gli Stati Uniti, per prevenire uno scenario in cui l’espansionismo cinese abbia successo. Ora si vocifera di un “Quad Plus” esteso alla Nuova Zelanda, alla Corea del Sud e al Vietnam, anche se questi due paesi stanno procedendo con molta cautela per via della loro vicinanza con i territori cinesi. L’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, in visita al parlamento di Nuova Delhi già nel 2007, citò il testo di un principe moghul chiamato Dara Shikoh, La confluenza dei due oceani (1655). Nel suo discorso Abe dichiarò: «Oggi il Pacifico e l’Oceano indiano stanno dando forma a un ‘unione dinamica, in quanto mari di libertà e prosperità». Aggiunse anche che è il caso di garantire che siano «aperti e limpidi per tutti».

Il braccio di ferro su Taiwan è in corso, aizzato dalla visita di Nancy Pelosi nell’isola, il più alto rappresentare Usa a visitare Taiwan dal 1997, quando si recò l’allora presidente della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano Newt Gingrich. La risposta cinese non si è fatta attendere dando il via a importanti manovre militari al confine delle acque territoriali di Taiwan. I caccia cinesi avrebbero più volte violato lo spazio aereo dell’isola. Ci si chiede, Xi Jin Ping si accontenterà di questo? Oppure il “fuoco” che ha promesso a Biden è solo rimandato?

Ovviamente nessuno può credere ad una riunificazione pacifica di Taiwan alla Cina soprattutto dopo la feroce normalizzazione di Hong Kong. Come commenta con intelligenza Federico Rampini, l’annessione dell’isola alla “madre patria” (ricordiamo la storia) darebbe a Xi Jin Ping la preda più importante sfuggita ai suoi predecessori e lo porrebbe ben al di sopra di Mao Zedong, fondatore della Cina che conosciamo e di Deng Xiaoping artefice dell’attuale progresso.

Cari amici vicini e lontani, la posta in gioco è molto alta. Il dominus cinese correrà il rischio di affrontare la risposta di Biden? E gli USA vorranno impegnarsi nella difesa di Taiwan? Intanto la portaerei Ronald Reagan e il suo gruppo di combattimento hanno lasciato Singapore e stanno procedendo verso una base nipponica. Allora, cari amici vicini e lontani, Taiwan o non Taiwan, questo è il problema!

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