Tutti in giro, ma l’emergenza non è finita

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I dati forniti dalle forze dell’ordine confermano che le persone, anche nel nostro territorio, si stanno muovendo in modo esagerato rispetto alle ordinanze di rimanere in casa e di uscire soltanto per le vere necessità. Nemmeno le sanzioni, peraltro abbastanza pesanti, frenano il desiderio di abbandonare le proprie abitazioni e disattendere l’isolamento per arginare il coronavirus.

Comprensibile dopo un mese di forzata clausura? Comprensibile anche se ingiustificabile. Comprensibile per ovvi motivi, che non serve esplicitare. Ingiustificabile perché l’emergenza non è finita. Il rallentamento della diffusione del Covid-19 è appena cominciato e, mai come in questo momento, occorre un grande senso di responsabilità da parte di tutti. Gli esperti ripetono che sarà ancora lunga, che nulla finirà domani, e nemmeno dopodomani. Che un ritorno dell’ondata dei contagi è qualcosa più di un semplice pericolo. E che proprio per questo dobbiamo continuare a rispettare le norme che ci vengono proposte.

Molti di noi, troppi, però se ne infischiano. Come se le belle giornate e l’approssimarsi della Pasqua consentirebbero deroghe a quanto ci viene chiesto. Ma non siamo affatto nella normalità, né essa è dietro l’angolo. Per dirla con una frase fatta, la luce si intravede in fondo al tunnel. Si intravede, non ancora si vede. Perché si esca dall’attuale situazione, sempre secondo chi sa della materia, bisogna avere pazienza e comportarsi in modo corretto. E, appunto, responsabile.

Vero che decreti, ordinanze, dichiarazioni, inviti, supposizioni si contraddicono: passeggia coi bambini, vietato passeggiare coi bambini; fai jogging vicino casa, non puoi correre all’aperto; metti la mascherina, non serve mettere la mascherina (Borrelli). E via di questo passo schizofrenico su tante altre questioni. Un florilegio di conferme e smentite che non fanno bene alla salute psicologica collettiva, già seriamente compromessa. A cui si sommano stucchevoli polemiche istituzionali e politiche, che complicano il quadro di riferimento e confondono, esasperandola, la gente. Scambi di accuse che spesso hanno un unico obiettivo: ottenere consensi, altro che risolvere i problemi.

La questione è anche un’ altra: non ci rendiamo conto, forse non vogliamo rendercene conto, che il coronavirus provoca infezioni letali, che la gente muore, che i reparti di terapie intensive sono peggio di un girone infernale. Ne avessimo consapevolezza ne prenderemmo atto in maniera seria e agiremmo di conseguenza. Più comodo allontanare da noi certe sgradevoli sensazioni, le immagini di carri funebri e di sofferenza dentro gli ospedali.

Ma così facendo manchiamo di rispetto, innanzitutto alle vittime. Poi a coloro i quali stanno producendo uno sforzo straordinario, addirittura eroico per salvare le nostre vite. Infine, manchiamo di rispetto a noi stessi, al fatto che nessuno è immune e che abbiamo il dovere di proteggerci, proteggendo a un tempo i nostri simili. Dobbiamo restare a casa, almeno per ora, con la prospettiva che dovremo comunque abituarci a una vita diversa per un bel po’ di tempo. Ma se non riusciamo nemmeno a rimanere sul divano, la qualcosa non implica eccessivo impegno, come potremo tra qualche settimana, se tutto andrà come sta andando, ottemperare a misure indispensabili per convivere con il virus?

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