Bobo Maroni, il rinvio a giudizio e la mossa del cavallo

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Bobo Maroni candidato sindaco di Varese rinviato a giudizio per una vecchia storia di corsie preferenziali per un incarico pubblico che, secondo la procura della Repubblica di Milano, riguarderebbe una professionista amica dell’allora governatore lombardo. Detta così, una di quelle vicende che, scavando scavando, traboccano nei corridoi della politica italiana, in senso trasversale: qual è quel politico che non ha mai fatto una raccomandazione? Non per questo sono vicende su cui passar sopra, soprattutto sul versante etico, ma, quando diventano oggetto di inchieste giudiziarie e mediatiche, è lecito domandarsi perché proprio quel presunto illecito e non altri? Perché quel personaggio e non altri? Maroni, già giudicato colpevole in secondo grado per una storia analoga, si dichiara vittima della giustizia. Guarda caso, il nuovo rinvio a giudizio, gli cade in testa in concomitanza con l’annuncio del suo ritorno sulla scena pubblica. Un caso? Chi può dirlo. I leghisti, perlomeno quelli di parte maroniana, sono convinti che si tratti di giustizia a orologeria. Ma c’è anche chi eccepisce sul fatto che l’ex ministro dell’Interno abbia sciolto la riserva alla sua candidatura a primo cittadino nello stesso giorno in cui usciva la notizia del procedimento giudiziario in atto. Un colpo da maestro, o, come commenterebbe il diretto interessato, la più classica delle mosse del cavallo per chi gioca a scacchi. E abbiamo detto tutto.

Resta il fatto che la Lega e il centrodestra avranno come aspirante primo cittadino – se sarà lui – un politico con un conto aperto con la giustizia. Un conticino, ci verrebbe da dire. Da risolvere però in udienze processuali che cadranno più o meno in campagna elettorale. Che ciò possa compromettere l’esito delle elezioni, non possiamo saperlo. Ma c’è chi lo sospetta.

Senza dimenticare che c’è un altro aspirante sindaco della Lega, anzi, aspirante al secondo mandato, su cui pende il rischio di un rinvio a giudizio. E’ Andrea Cassani, primo cittadino di Gallarate, implicato nell’inchiesta Mensa dei poveri. Nulla di clamoroso anche per lui, anzi, a confronto delle pesanti accuse di altri indagati nello stesso procedimento, il suo sembrerebbe un peccato veniale, una ipotizzata ingerenza nelle definizione di incarichi per la variante al piano di governo del territorio. Tutto da dimostrare, come per Maroni. Ma comunque un intoppo d’immagine non proprio insignificante. Che potrebbe fare il gioco degli avversari e, anzi, giustificare l’eventuale fuoco amico degli alleati di centrodestra. L’ultima parola per Cassani la dirà il gup a novembre, quando è in agenda l’udienza preliminare per l’eventuale archiviazione delle accuse o, appunto, per l’eventuale rinvio a giudizio.

Maroni incontrerà i militanti della sezione varesina lunedì prossimo. Spiegherà loro i perché e i percome di un atteggiamento sinora ondivago rispetto alla candidatura (a un certo punto si è parlato di una sua discesa in campo a Milano per Palazzo Marino), e racconterà di sicuro i termini del nuovo processo che lo riguarda. Ufficializzato il quale ha ufficializzato anche la sua preferenza per la Città Giardino. Il resto è tutto da scrivere, benché a Varese nessuno abbia sinora posto il problema dell’opportunità di “giocare” la carta Maroni, più che una carta un carico ,capace, una volta risolte tutte le nebbie, di andare a punti. Anzi, di far vincere la partita, se mai si riuscisse a convincere anche gli elettori che una grana giudiziaria non vale un sindaco dal passato prestigioso e di grande esperienza.

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