Varese, morte di Giuseppe Uva: ricorso recepito. L’Europa riapre il caso

VARESE – Morte di Giuseppe Uva: la Corte Europea per i Diritti dell’uomo accoglie il ricorso presentato dai famigliari del 43enne. Lo riporta il quotidiano La Stampa in un articolo a firma di Luigi Manconi, presidente dell’associazione A Buon Diritto che da senatore (Pd) non fece mai mancare il proprio appoggio alla famiglia Uva, e di Valentina Calderone che di A Buon Diritto è la direttrice.

Vicenda lunga 12 anni

Lucia Uva, sorella di Giuseppe, e i suoi legali avevano annunciato l’intenzione di ricorrere alla Cedu dopo che la Cassazione l’8 luglio 2019 aveva assolto definitivamente e con formula piena (confermando in toto le sentenze di primo e secondo grado) i sei poliziotti e i due carabinieri accusati dell’omicidio preterintenzionale di Giuseppe Uva, morto all’ospedale di Varese il 14 giugno 2008, dopo essere stato fermato con l’amico Alberto Biggiogero (oggi detenuto per aver assassinato il padre) mentre ubriaco “ululava”, così fu detto in aula durante il primo grado, in via Dandolo a Varese spostando delle transenne in mezzo alla strada.

Tre gradi di giudizio

Furono i residenti a chiamare le forze dell’ordine che una volta intervenute contennero Uva, descritto come esagitato, portandolo al comando provinciale carabinieri di Varese dove il 43enne fa sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio visto lo stato di agitazione e trasportato all’ospedale di Circolo di Varese dove morì alcune ore dopo. I famigliari, in particolare la sorella Lucia, accusarono carabinieri e poliziotti di aver picchiato e maltrattato il 43enne causandone la morte. La tesi non resse in tutti e tre i gradi di giudizio: le percosse non sono state provate e la parte civile virò sull’ipotesi “tempesta emotiva“. In sintesi il trattamento ricevuto da Uva ne avrebbe scatenato una “tempesta emotiva” tale da causarne la morte anche in seguito a un difetto cardiaco sconosciuto sia a Uva che ai famigliari. In primo grado lo stesso pubblico ministero Daniela Borgonovo chiese e ottenne l’assoluzione da tutti i capi di imputazione per poliziotti e carabinieri. Il sostituto procuratore generale di Milano Fabio Gaballo impugnò la sentenza e si infranse il 31 maggio 2018 contro un’altra assoluzione netta, quella di secondo grado. Assoluzione confermata definitivamente nel luglio 2019 dalla Cassazione.

I cardini del ricorso

Pochi giorni fa la Cedu ha recepito il ricorso presentato dai legali Stefano Marcolini, Fabio Matera e Fabio Ambrosetti. Il ricorso, ancora tutto da discutere e dall’esito affatto scontato, si basa su quattro principi cardine: Uva sarebbe stato sottoposto a maltrattamenti inumani e degradanti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, lo Stato italiano non si sarebbe adoperato abbastanza per accertare i fatti, il legislatore italiano ha introdotto il reato di tortura soltanto nel 2017, nel processo di secondo grado ci si è limitati ai verbali del primo grado senza che i testimoni venissero ascoltati in violazione – dicono i legali – di una precisa disposizione della stessa Cedu. Va detto che la Corte non può annullare le decisioni o le leggi nazionali. L’esecuzione delle sentenze non rientra nella competenza della Corte. Quando quest’ultima ha pronunciato il proprio giudizio, questo passa sotto la responsabilità del Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa che è incaricato di vegliare alla sua attuazione e al versamento degli eventuali risarcimenti.

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