
di Andrea Minchella
VISTO
THE KILLER, di David Fincher (Stati Uniti 2023, 118 min., Netflix).
Dopo l’epico “Mank” del 2020, in cui il regista statunitense raccontava della nascita del cinema contemporaneo, rendendo omaggio ad uno degli sceneggiatori più importanti e innovatori della storia, la mente di David Fincher partorisce un apparentemente incomprensibile ed enigmatico “thriller” in cui lo spettatore fatica a trovare un senso alla narrazione.
Fincher confeziona un minimale e didascalico racconto in cui un killer a pagamento si ritrova in mezzo ad una serie di eventi non previsti che fanno vacillare la sua freddezza ossessiva e angosciante. Il killer, che controlla ogni frazione di secondo della sua vita, soprattutto quando deve portare a termine una missione, si ritrova a fare i conti con l’imprevedibilità e la sorpresa che, insieme, possono diventare due elementi altamente pericolosi per la sua attività. Non sono ammessi errori. Non puoi sbagliare. Questo è il mantra che l’assassino continua a ripetersi nella mente. Fino a diventare un ritmo ossessivo delle sue azioni. La voce interiore del protagonista accompagna lo spettatore in questo viaggio essenziale che il regista americano costruisce intorno ad un glaciale Michael Fassbender, colonna portante dell’intera pellicola. I dettagli raccontati da Fincher diventano parte integrante della narrazione che assume una forma geometrica quasi perfetta in cui ogni parola del protagonista si incastra perfettamente. Un puzzle scenico equilibrato e monocorde che può lasciare disorientato il pubblico, sempre più bulimico di immagini e di azione.
Fincher, attento osservatore della società contemporanea, decide con “The Killer” di mettere in scena un potente e iconografico esercizio di stile in cui la forma supera l’intensità della storia. Fincher ci dice che non importa se abbiamo una storia straordinaria da raccontare se non siamo in grado di raccontarla nel migliore dei modi. Fincher, che ci ha abituati a storie raccapriccianti e dissacranti, ha sempre utilizzato uno stile innovativo ma mai artefatto. In questo caso, dunque, come un bravo insegnante, toglie dal progetto la storia, lasciandoci soltanto una narrazione costruita con un’architettura ineccepibile. “The Killer” è una lezione di regia a chi sarà regista domani, a chi dovrà raccontare non solo “cosa” ma necessariamente anche “come”.
Dunque le vicende del killer, che non ha nemmeno un nome, si susseguono seguendo una linearità angosciante che diventa sempre più articolata fino a perdersi completamente. Il killer, abituato a rimanere distante da ciò che gli succede, si ritrova invischiato, quasi sporcato, nella violenza di cui lui stesso è l’artefice. La perfezione delle azioni e della metodica si disintegra contro l’imprevedibilità della vita e del destino. La freddezza e la sicurezza di Fassbender evapora a favore di un caos apparentemente disordinato ma perfettamente descritto da un David Fincher maniacale e perfezionista. La calma diventa un detonatore per l’incontrollabile e l’ignoto. La freddezza diventa una voragine melmosa in cui il killer cade e rischia di perdere tutto. Guardare e giudicare “The Killer” come uno dei tanti film in circolazione rischia di azzoppare la capacità istrionica di Fincher di inventare e di innovare.
Può lasciare insoddisfatti, certamente, ma questo film è stato realizzato con una capacità narrativa ed un intento architettonico degni di un maestro come Fincher. Un lavoro “a togliere”, in cui l’autore gioca con gli elementi narrativi e stilistici riducendo all’osso il piacere “passivo” di guardare un film. In “The Killer” viene completamente scardinato il rapporto spettatore/protagonista a favore di un’esperienza inedita fatta di osservazione e di una impossibile immedesimazione con Michael Fassbeneder, che fa di tutto per nascondersi, per scomparire, nella follia dilagante del mondo contemporaneo. Si fatica a comprendere chi, dei personaggi, sia il cattivo e chi sia il buono. Forse il mondo si divide tra competenti e non. Tra pragmatici e istintivi. Tra silenziosi e rumorosi. Tra predatori e prede.
Fincher prende una storia, raccontata in una collana di fumetti ideata dal francese Alexis Nolent, e la trasforma in una sua riflessione sul modo di fare cinema e sul mondo contemporaneo, sempre più indecifrabile e violento.
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RIVISTO
THE AMERICAN, di Anton Corbijn (Stati Uniti 2010, 106 min.).
Un piccolo film sul riposo forzato di un killer. Un George Clooney innamorato dell’Italia che è sufficiente a reggere una storia debole ambientata in alcuni degli angoli dell’Italia centrale più belli e affascinati.
Ben raccontato e ben recitato, anche da molti attori italiani capaci e centrati.