VISTO&RIVISTO La crisi della Disney piegata al politicamente corretto

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di Andrea Minchella

VISTO

LA SIRENETTA, di Rob Marshall (Stati Uniti 2023, 135 min.).

La Disney per questo progetto ha messo in campo il suo miglior regista. Rob Marshall prima di essere un poliedrico e capace regista, fra gli altri di “I Pirati Dei Caraibi” e del sequel di “Mary Poppins”, è infatti un ballerino e coreografo. Le sue creazioni artistiche a Broadway hanno incantato migliaia di spettatori. Le sue regie cinematografiche, a partire dal magico “Chicago”, suo primo film, hanno rapito il pubblico di tutto il mondo consacrandolo come uno dei più grandi registi viventi. Nel 2009 decise addirittura di dirigere un’originale trasposizione di “8 e ½” di Federico Fellini con “Nine” in cui un Daniel Day-Lewis pazzesco interpretava il Guido Anselmi/Marcello Mastroianni del capolavoro di Fellini.

Sono lontani, però, i tempi in cui la Disney padroneggiava con cartoni di successo che davano del filo da torcere ai “blockbusters” delle “majors”. Gli anni novanta, dopo un periodo fiacco e impersonale, avevano nuovamente visto la casa fondata dal visionario Walter Elias Disney nel 1923 come una delle industrie cinematografiche più influenti e di successo di sempre. “Aladdin”, “La Bella e La Bestia” e, appunto” La Sirenetta” erano riusciti a raggiungere incassi e consensi mai visti prima.

Questo progetto, come già accaduto per altri grandi titoli degli anni novanta, vanta una produzione e una ricchezza tecnologica che farebbero invidia a James Cameron o a Peter Jackson. Ma probabilmente pagano un prezzo alto in qualità e in potenza evocativa perché svuotati della magia che quei cartoni avevano. La volontà, quasi ossessiva, di trasformare iconici cartoni animati in film “stop motion” sta traghettando la casa di produzione californiana in acque agitate. Se gli incassi sembrano darle ragione, e certamente non è cosa da poco, la magia che avvolge i suoi progetti sembra dissolversi a favore di una giusta ma troppo evidente voglia di racimolare milioni di dollari in tutto il mondo. E il risultato, comunque, spesso non è all’altezza delle aspettative.

Probabilmente andrebbe ripensato lo stile. E il linguaggio. Vedere la stessa storia da un altro punto di vista non sempre è sinonimo di bellezza e di intrattenimento. Il pubblico va comunque educato al bello che però non sia svincolato completamente dal potere di un’opera di far sognare e di far riflettere, di far sperare e di testimoniare una presa di coscienza sul mondo che ci circonda. Se lo spettacolo è puro intrattenimento in cui la potenza tecnologica serve a riempire buchi narrativi e a confondere il pubblico a fronte di una mancanza di idee, allora il risultato rischia di impoverire il bagaglio di emozioni immenso dello spettatore moderno.

Le musiche di Menken, che aveva creato le melodie per il cartone del 1989, non bastano a sorreggere l’intero lavoro. Le sequenze fuori dall’acqua, girate sulle spiagge e nei luoghi più incantevoli della Sardegna, riconsegnano un’immagine falsata degli spazi pensati dall’autore della fiaba, Hans Christian Andersen, che aveva ambientato la sua avventura nella mitologica e ancestrale Danimarca. Cambiare alcuni aspetti di una storia per creare qualcosa di nuovo ed originale, come ad esempio accadde per “Apocalypse Now” in cui John Miluis partì dal “Cuore di Tenebra” di Conrad per scrivere la sceneggiatura di uno dei film di guerra più riusciti di sempre, è un’operazione complessa e delicata che non può essere fatta solo con finalità economiche.

Ma l’aspetto che più compromette, credo, il risultato del film è una forte dose di “politicamente corretto” che ormai invade molte produzioni soprattutto se destinate al grande pubblico. Anche se la protagonista è perfetta e bravissima ad interpretare il ruolo di Ariel, non si capisce come mai ci sia questa ossessione a suddividere ruoli e personaggi con una sorta di misurino per non scontentare nessuna categoria, e per non prendersi più la responsabilità di portare avanti l’originalità di messaggi e di scelte che devono sempre e comunque essere contestualizzate temporalmente. Il risultato è evidentemente un racconto snaturato in cui l’elaborazione non è innovativa ma ricalca una storia di successo sostituendo alcuni elementi solo per garantire “quote rosa, nere e verdi” ma senza apportare nessun nuovo ed originale elemento ad una fiaba universale.

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RIVISTO

LA SIRENETTA, di John Musker- Ron Clements (Stati Uniti 1989, 82 min.).

Con “La Sirenetta” si aprì una nuova grande stagione della casa fondata da Walt Disney. Gli anni novanta furono anni d’oro grazie alla realizzazione di pellicole leggendarie come “La Bella e la Bestia”, “Aladdin”, “Il Re Leone” e altri. La realtà che ci circondava veniva rielaborata in maniera geniale ed intelligente in cartoni animati che gareggiavano, nel “box office”, con le produzioni di punta della Warner, della Fox, della Universal o della Paramount.

Vere e proprie opere d’arte in cui i personaggi, seppur disegnati, diventavano eroi e idoli di un’intera generazione che si apprestava ad affacciarsi nel mondo adulto. Classici che tutt’oggi risultano freschi e moderni. E che non dovrebbero offendere nessuno perché così sono stati pensati, creati e distribuiti.

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