VISTO&RIVISTO Il desiderio di riscatto dei “miserabili” delle banlieu

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di Andrea Minchella

VISTO

I MISERABILI, di Ladj Ly (Les Misérables, Francia 2019, 103 min.).

È tutta una questione di equilibrio. Anche nelle zone più difficili e più problematiche del mondo l’equilibrio è ciò che meglio riesce a far scorrere senza gravi intoppi la vita dei suoi abitanti. Anche a Monfermeil, comune nella periferia di Parigi dove il giovane filmmaker Ladj Ly è cresciuto, l’equilibrio che si frappone tra la polizia e la popolazione è una sottile linea indefinita che garantisce una certa tranquillità e una relativa collaborazione. Se un elemento, che sia piccolo o insignificante, viene meno nella delicata struttura di convivenza tra forze opposte, il risultato può essere tragico e incontrollato.

Ne “I Miserabili” assistiamo proprio a questo. Nel momento in cui un tassello della fragile impalcatura che regge la vita all’interno di questo comune, difficile e multietnico, viene meno, le conseguenze travolgono i protagonisti della vicenda, lasciando sul “campo di battaglia” odio, rancore e l’ancestrale condizione da “miserabili” che alcuni individui sono destinati a subire in eterno.

Il film, primo lungometraggio del giovane regista che prende spunto dai violenti scontri avvenuti nelle banlieu nel 2005, ci racconta di una squadra di poliziotti e della loro difficile convivenza con la popolazione del popoloso e variegato comune di Monfermeil. Muovendosi tra informatori, amici, nemici e semplici cittadini, i poliziotti cercano di garantire la tranquillità, relativa e temporanea, necessaria per l’equilibrio vitale che sta alla base di queste zone sempre pronte ad esplodere contro lo Stato e i suoi rappresentanti più a stretto contatto con la popolazione, come i poliziotti di questa storia. Se Gwada e Chris, veterani del quartiere, sono più disinvolti e tranquilli, il nuovo arrivato Stéphane fa fatica a comprendere i metodi duri e equivoci che gli altri due poliziotti usano con estrema facilità. Ma nessuno è al  sicuro. Basterà una leggerezza della squadra per dar vita ad una serie di eventi che diventeranno gravi e irrimediabilmente tragici.

L’occhio del giovane autore non fa sconti, e insiste sulla fragile convivenza tra la Legge e chi la deve rispettare. Qui i ruoli non sono così definiti come ci si aspetterebbe. Sembra che per ottenere un risultato si sia disposti a compiere qualsiasi azione. Il bene ed il male, come ci spiegano gli autori più attenti e più audaci, non sono sempre facilmente riconoscibili e riconducibili a stereotipi di persone che vorremmo ci circondassero. Spesso la distinzione tra bene e male si perde nella profondità del complesso e, a volte, enigmatico mondo su cui spendiamo le nostre esistenze. Come nel romanzo di Victor Hugo, che in questo comune inserisce la locanda dei Thénardier, anche in questa vicenda drammatica i protagonisti cercano, forse invano, la possibilità di riscatto da una vita difficile, triste e, appunto, miserabile.
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RIVISTO

GOMORRA, di Matteo Garrone, (Italia 2008, 137 min.).

“Il film è meglio del libro”. Questa provocazione spiega bene come un giovane ma già veterano del cinema Matteo Garrone sia riuscito a prendere uno dei maggiori successi letterari italiani di sempre per realizzarne una versione cinematografica perfettamente equilibrata e potentemente evocativa, che fosse anche indipendente dal gigantesco romanzo di Roberto Saviano.

Grazie anche alla presenza imponente del “suo” Toni Servillo, la narrazione riesce a dare vita ad una vicenda tanto agghiacciante quanto profonda, che si insinua nello spettatore fornendogli tutti gli elementi per comprendere meglio una realtà più vicina a noi di quanto, fino al racconto di Saviano, non si pensava né si immaginava. Saviano, prima, e Garrone, poi, riescono a fissare con estrema lucidità alcune delle scene più raccapriccianti e reali che riescono a dare, senza eccessivi filtri artistici, una chiara e limpida narrazione di vicende miserabili che diventano filo conduttore in un mondo in cui la violenza e l’assenza assordante dello Stato viaggiano sulla stessa strada. Esistenze al limite che perdono di vista i contorni umani e civili, tanto rassicuranti e vitali per noi che stiamo a guardare.

Garrone con “Gomorra” fa quel salto di qualità che, dopo capolavori come “L’Imbalsamatore” o “Primo Amore”, il grande pubblico apprezza subito e trasforma il regista romano in un gigante del cinema italiano.

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