VISTO&RIVISTO Quando bene e male si confondono nella nebbia della vita

minchella fratelli nemici sky

di Andrea Minchella

VISTO

FRATELLI NEMICI-CLOSE ENEMIES, di David Oelhoffen (Freres Ennemis, Francia-Belgio 2018, 111 min.)

In questa “clausura”, anche culturale, trovare su Sky film interessanti è una preziosa ricchezza. Questo “Fratelli Nemici”, del bravo regista francese, è un fresco e realistico viaggio all’interno della periferia del mondo, dentro i margini più estremi dell’umanità. Oelhoffen, a tre anni di distanza dal gigantesco “Loin des Hommes”, confeziona un puntuale e quasi nauseante racconto sul sottile confine tra male e bene, tra buono e cattivo, tra legge e crimine. Spesso i chiari e cristallini caratteri che siamo abituati a riconoscere nella vita si miscelano, si mischiano, dando vita a innumerevoli zone d’ombra in cui si sviluppano storie profonde ed intense i cui protagonisti difficilmente possono essere catalogati con semplicità.

In questa vicenda incontriamo Manuel, giovane e schivo criminale delle Banlieue, che si ritrova alle prese con una pericolosa ed oscura vendita di un’ingente quantitativo di droga, e Driss, un poliziotto della narcotici, di origine nord africana, che in quel quartiere ci è nato e ci è cresciuto. I due, rivali e nemici, si ritrovano a dover stringere un patto per salvare la vita a Manuel e per dare a Driss i grossi acquirenti che si nascondono dietro il traffico di droga che arriva dritto dal Marocco. Driss, che già aveva avuto un informatore nel “clan” di Manuel e che per via dell’imminente vendita era stato assassinato, cerca disperatamente un riscatto nei confronti di quella comunità che sente di aver tradito, scegliendo la legge al crimine, scegliendo la libertà alla schiavitù della vita ai margini della società. Driss, infatti, è disconosciuto anche dal padre, che non vuole più aver contatti con il figlio poliziotto emancipato.

Il film, che si poggia su una sceneggiatura scarna ma profonda, non ci fa mai capire dove in realtà la vicenda si svolge. Parigi viene nominata solo una volta, la periferia in cui tutto accade potrebbe essere la periferia di qualsiasi città d’Europa, del mondo. Il montaggio è perfettamente in linea con il rimo della storia. Lento e pacato quando la vicenda rallenta, veloce e disordinato quando la narrazione accellera. Le fughe di Manuel nel labirinto del palazzo in cui vivono i suoi compagni, con il regista che “lo segue” ossessivamente, danno perfettamente l’idea della tensione e dell’asfissiante atmosfera che ingloba le vicende di droga e di crimine che si svolgono dentro questi enormi macro quartieri che, solitamente, assediano i centri esclusivi delle metropoli, miopi e sordi davanti al degrado che dilaga a pochi metri di distanza.

Il film è arricchito da un cast azzeccato e minuzioso. Le facce che incrociamo durante la pellicola sono credibili e perfettamente incastonate nella storia e nel luogo che il film decide di raccontare. I due protagonisti, poi, danno prova della loro già penetrante e centrata capacità recitativa. Matthias Schoenaerts si cala perfettamente nel criminale” buono” che si destreggia tra traffici illeciti e una piccola e preziosa famiglia. Reda Kateb, già scelto da Oelhoffen per lo strepitoso “Loin des Hommes”, ci regala un nuovo, intenso e ben delineato poliziotto “meltin pot” della Parigi contemporanea.

In fondo, come i caratteri di questo racconto, un individuo non è mai totalmente cattivo o sbagliato. Né può essere completamente buono o giusto. In ognuno di noi albergano diverse sfaccettature che ci rendono sì unici, ma anche pericolosamente indecifrabili e imprevedibili. Qui risiede la grandezza e l’unicità dell’essere umano, e delle vicende che lo vedono protagonista.

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RIVISTO

L’ODIO, di Mathieu Kassovitz (La Haine, Francia 1995, 95 min.).

C’è un prima e c’è un dopo. Nel 1995 la cinematografia mondiale dovette fare i conti con uno dei più struggenti e realistici ritratti della società contemporanea. “L’Odio”, infatti, lasciò tutti a bocca aperta per la violenza e la minuziosa capacità narrativa che si sprigionavano da un asfissiante e claustrofobico racconto ambientato in una delle periferie più difficili d’Europa: quella francese. Nelle Banlieu, dove l’integrazione aveva e ha fatto passi da giganti, si annidano gruppi di persone che si sentono esclusi dal mondo “normale” e, dunque, si organizzano secondo regole e leggi che esulano dai codici che governano il mondo che conosciamo. Assistiamo, per un’ora e mezza, ad un viaggio circolare nelle zone più buie di una Parigi irriconoscibile, giustamente dipinta di grigio da un sorprendete ed estremamente giovane Mathieu Kassovitz, giustamente premiato al Festival di Cannes.

La pellicola viene letteralmente cucita addosso ad un quasi “bambino” Vincent Cassel che sembra arrivare per davvero da una di quelle case in cui la vicenda si sviluppa e si snoda. Il viaggio che Vinz e i suoi due amici compiono sembra un cammino nell’inferno dantesco che spesso troviamo come luogo prediletto per racconti che trattino, come in questo caso, delle viscere più nascoste dell’umanità.

Tratto da un omicidio realmente accaduto da parte della polizia nelle Banlieu parigine durante diversi scontri, il film prende poi una strada articolata ed unica dentro l’anima dei protagonisti.

Un film attuale, anche per la scelta da parte del regista di una grammatica sobria e lineare, che non sembra invecchiare ma anzi risulta dare, ogni volta che lo si guarda, nuovi e inaspettati spunti di riflessione su una società liquida e velocemente mutabile come è quella contemporanea.

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