VISTO&RIVISTO Scioccante, diabolica e vile storia americana

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di Andrea Minchella

VISTO

TED BUNDY – Fascino criminale, di Joe Berlinger (Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile, Stat Unit 2019, 108 min.).

Un’occasione persa. Un film che prova a raccontarci la vicenda giudiziaria più famosa d’America, ma che non riesce completamente nel suo intento. Una sceneggiatura poco elaborata che dà vita ad una pellicola spesso appiattita su una storia che, invece, avrebbe un’infinità di spunti e di dettagli che la rendono ancora oggi una vicenda unica e, a tratti, quasi mitografica.

Tratto dal libro “The Phantom Prince: My Life With Ted Bundy” di Elizabeth Kendall, la pellicola narra la vicenda giudiziaria del primo serial killer americano della società contemporanea/televisiva. Apprezzabile il tentativo del regista Berlinger, documentarista che si è appassionato al caso Ted Bundy tanto da realizzare diversi documentari sul serial killer, di raccontarci questa intricata e a tratti ancora oscura vicenda scegliendo un punto di vista inedito e decidendo di evitare di rappresentare esplicitamente le vittime e i loro omicidii.

Il regista decide invece di soffermarsi sulla vita di Bundy dopo l’arresto, avvenuto quasi per caso nel’74, e su tutti i processi che, dal 1975 al 1979, ha subito in diversi Stati, fino alla condanna a morte del 1979 arrivata nello Stato della Florida. Il suo fu il primo processo che ebbe un forte richiamo mediatco: fu permesso infatti alle telecamere di riprendere ogni fase processuale. Spesso l’America assistette anche alle arringhe dello stesso Bundy che figurava sia come imputato che come co-difensore di se stesso. Ovviamente il pubblico si spaccò in due poichè l’intelligenza e la preparazione del protagonista riuscivano spesso a confondere le idee, e, soprattutto, riuscivano a rendere quasi inverosimili le descrizioni, accurate e ai limiti dell’umanità, dei delitti e dei loro metodi di attuazione che gli venivano contestati. Nell’arringa finale il giudice che lo condannerà a morte, pur riconoscendone l’abilità e l’intelligenza, sottolinea come tutta la vicenda sia permeata da una totale assenza di umanità, che caratterizza la particolare efferatezza delle violenze inflitte alle vittime, prima e dopo la loro uccisione.

Prima di morire Bundy confesserà l’uccisione di più di trenta ragazze: a lui potrebbero anche essere ricollegate altrettante vittime. La sua scia di morte toccò diversi Stati dalla fine degli anni sessanta fino alla data del suo arresto. Rimane tutt’oggi uno dei serial killer più proficui della storia criminale americana. Un film, dunque, riuscito a metà; la seconda parte, infatti, risulta più ritmata e meglio costruita. Zac Efron consolida sempre più le sue capacità ben definite di attore ormai adulto e si porta sulle spalle il peso dell’intero progetto cinematografico. Ennesima produzione Netflix, il film spera di essere visto da un gran numero di spettatori grazie alla larga diffusione della innovativa piattaforma.

RIVISTO

S.O.S. SUMMER OF SAM – Panico a New York, di Spike Lee (Summer of Sam, Stat Unit 1999, 140 min.).

Un piccolo capolavoro dell’eccentrico regista americano. Spike lee Lee nel 1999 dirige il primo suo film che non tratta di vicende legate ad afro americani. Né il cast presenta alcun attore nero. Il film prende spunto dalle vicende realmente accadute nell’estate del 1977 del serial killer David Berkowitz, ribattezzato “Son of Sam”, che tenne con il fiato sospeso l’intero quartere del Bronx.

La polizia, che riscontrò da subito difficoltà nelle indagini, chiese aiuto alle famiglie di Italiani del quartere che diedero subito luogo ad una sorta di caccia alle streghe tra le strade del quartiere newyorkese. Forti di metodi mafiosi, i protagonisti della storia vengono magistralmente descritti, da uno Spike Lee attento e a tratti poetico, intenti nelle loro violenze quotidiane e nei loro artcolati monologhi, zeppi di turpiloqui e di atteggiamenti prettamente italiani. Il film mantiene alta la tensione, regalandoci una storia avvincente che tratteggia la comunità della grande mela come variegata e fortemente razzista.

La colonna sonora, poi, lega tutta la vicenda, dandole un’originale spinta “disco”, inedita per il bravo regista afro americano. La cronaca legata al killer fa da sfondo ad una riuscita e ben recitata commedia “dark”. Bravi, infatti, tutti gli attori, a partire dall’intenso Brody e dall’iconografico Leguizamo fino alla dolce e leggera Mira Sorvino. Uno dei capi saldi di Spike Lee che ancora oggi, vent’anni dopo, riesce ad emozionare e commuovere come fosse un film dei giorni nostri.

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