Neuroscienze a Stresa, mille professionisti per un’equipe multidisciplinare

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STRESA – «Oggi abbiamo toccato i mille, con professionisti di tutte le specialità neurologiche e affini. Ciò permette di offrire una migliore cura, in quanto il dialogo tra le varie specialità contribuisce a un vero approccio multidisciplinare con al centro il paziente». Così Angelo Taborelli, presidente uscente della Società dei Neurologi, Neurochirurghi e Neuroradiologi Ospedalieri (Sno) ha commentato il cinquantanovesimo congresso dell’associazione. L’alleanza tra più competenze e il rapporto medico-paziente sono stati tra i temi principali dell’incontro organizzato a Stresa da giovedì 8 maggio a sabato 11.

Il paziente non deve più andare dai singoli specialisti

La Sno, associazione medica di categoria nata il 22 maggio 1960 giunta al suo cinquantanovesimo congresso, negli ultimi anni ha registrato un notevole incremento di iscritti. Riguardo ai recenti sviluppi Taborelli ha dichiarato: «Gli specialisti si alternano attorno al paziente, non è più il paziente a dover andare dai singoli specialisti: un’alleanza per il paziente, che è molto sentita dal consiglio direttivo. Puntare tutte le risorse sul mero aggiornamento tecnologico non si tramuta in un bene per lui, quando servono anche risorse nella comunicazione tra gli specialisti. Per questo motivo abbiamo fortemente voluto creare dei momenti durante il congresso di formazione verbale e non verbale tra medici e pazienti».

Demenza e possibilità di cura

Tra i temi trattati è stata approfondita la demenza da un punto di vista neurologico. Insieme alla paura verso un millennio che sarà interessato da un’“epidemia silente”, cioè tutte quelle problematiche che, spesso in modo semplicistico e a volte errato, vengono identificate come “demenza di Alzheimer”, etichetta che evoca deprivazione della personalità, badanti, abbandoni, impotenza. Pochi però sanno che esiste una piccola fetta, pur sempre significativa, delle “demenze” che non solo è curabile, ma spesso anche reversibile, con recupero significativo delle funzioni cognitive. Nel caso dell’idrocefalo dell’anziano, come rilevato da Bruno Zanotti, neurochirurgo e segretario Sno, con un semplice intervento chirurgico è possibile il recupero della propria autonomia: «Il messaggio vero è che chi è affetto da decadimento va attentamente valutato in equipe multidisciplinari di esperti ed avere ben presente che, seppure in minima parte, esiste la possibilità di curare anche la cosiddetta demenza».

Simulazioni del colloquio clinico e situazioni critiche

È stata approfondita anche la comunicazione verbale e non verbale nella relazione medico-paziente. Il workshop ha dato la possibilità di simulare in modo interattivo alcune situazioni emblematiche legate al colloquio clinico, coinvolgendo i partecipanti stessi. Guidate e commentate dai conduttori, sono state uno strumento di apprendimento capace di mettere in luce i vissuti emotivi di entrambe le parti, utili non solo per superare alcune criticità della comunicazione nella pratica clinica ma anche sperimentare la ricaduta nel concreto di spunti teorici.
Il primo farmaco è il medico stesso”, ha affermato Michael Balint. Lo psicologo clinico integrato nell’equipe multidisciplinare, e non come semplice consulente, permette di agevolare l’acquisizione di competenze relazionali negli operatori, specialmente quando si presentano situazioni critiche, nonché sostenere la reazione psicologica più adattiva che il paziente e il familiare può metter in atto per affrontare il percorso diagnostico terapeutico.

La sfera affettiva e relazionale intorno al paziente

«È un traguardo estremamente importante il fatto che per la prima volta l’intervento psicologico clinico nell’ambito delle neuroscienze abbia avuto un ruolo in un programma come quello della Sno. Il fatto che la società abbia intrinsecamente un carattere fortemente interdisciplinare ha aiutato la sinergia», ha dichiarato Umberto Mazza, responsabile della struttura di Psicologia Clinica all’ospedale Niguarda. Il paziente deve essere la persona, considerata con la sfera affettiva e relazionale che gli gravita intorno, che tutti gli operatori dell’equipe hanno in testa: «Nel mio percorso professionale in psichiatria posso dire che, per quanto riguarda le grandi patologie, l’unico approccio possibile è quello multidisciplinare. Non esiste alcuna disciplina in grado di affrontare da sola qualunque forma di patologia complessa senza l’intervento di differenti competenze». Per quanto riguarda il futuro, se ora le competenze sono più ampie perché il clinico lavora con il paziente e i suoi familiari, egli opera però sul piano formativo con il personale sanitario: «ciò che va sicuramente consolidato è la misurazione dell’efficacia degli interventi».

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