VISTO&RIVISTO The French Dispatch: molto, forse troppo

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di Andrea Minchella

VISTO

THE FRENCH DISPATCH OF THE LIBERTY, KANSAS EVENING SUN, di Wes Anderson (Stati Uniti- Germania 2021, 108 min.).

Sicuramente si fa notare. Certamente qualcosa rimane. Wes Anderson non inventa nulla di nuovo e decide di solcare ancora una volta la strada che lo ha reso famoso e inimitabile. La storia, in questo caso, diventa quasi un pretesto per poter ricomporre un cast corale ed una serie infinita di inquadrature che sembrano dipinte su di una tela infinita. I personaggi vengono cesellati millimetricamente da una sceneggiatura piena di parole e di dialoghi che si incastrano quasi perfettamente. Anderson gioca con i colori e con il bianco e nero con una capacità inarrivabile. Le sue inquadrature spaccano il flusso della storia trasformando l’intero progetto in una sorta di “patchwork” in cui storie, vicende, personaggi e luoghi diventano frammenti infinitesimamente piccoli e impercettibili se raffrontati con la vicenda del “French Dispatch” intesa come filo conduttore che tiene unite tutte le sfumature del racconto di Anderson.

La redazione del settimanale che il suo fondatore, Arthur Howitzer Jr., ha voluto trasferire dall’America ad una piccola cittadina francese, Ennui-sur-Blasè, si presenta, nelle sequenze iniziali, come una di quelle case di bambole che possono essere scrutate e plasmate dall’esterno. La morte di Arthur, un Bill Murray necessario e potente, dà il via alla narrazione del film. Per il necrologio del suo direttore il “French Dispatch” uscirà per l’ultima volta radunando i migliori articoli che negli ultimi anni sono comparsi sul particolare ed originale supplemento domenicale del quotidiano americano “The Evening Sun”, di Liberty, Kansas. E così Wes Anserson dà sfogo alla sua capacità unica di plasmare attori, dialoghi e sequenze in un unico e didascalico viaggio nel mondo dell’arte e della capacità di raccontare.

Il tributo che Anderson decide di donare al giornalismo degli anni cinquanta è dopotutto un riconoscimento ad una categoria che del racconto ha fatto il suo unico puto di forza. Raccontare diventa una sorta di” catarsi” necessaria per tutte quelle persone che sono curiose e non si accontentano solo di vivere esperienze, ma desiderano arricchirsi ascoltando e sentendo storie che arrivano da lontano, da un mondo apparentemente lontano dal nostro ma spesso più simile e vicino di quanto non si possa immaginare. E così l’ultimo numero del “French Dispatch” diventa un “collage” di servizi che vanno da quello sul pittore-galeotto Moses Roenthaler, un catatonico Benicio del Toro, che vive il rapporto con la sua guardia Simone, Léa Seydoux mai così sensuale, come riscatto da una vita di violenze fatte e subite, al servizio sul cuoco del commissario a cui rapiscono il figlio e che riesce a salvare in una rocambolesca operazione di polizia. Si passa dal servizio “di strada” dello sfuggente Herbsaint Salzerac, un fugace Owen Wilson, alla grottesca e fumettistica cronaca dei moti del sessantotto in cui un magnetico Zeffirelli, interpretato dal quotatissimo Timothée Chalamet, fa perdere la testa alla monotona cronista Lucinda Krementz.

Andesrson, dunque, dipinge su di una tela infinitamente estesa l’intera vicenda del suo film, passando dal colore al bianco e nero, dalla pellicola al fumetto con una semplicità che solo i grandi autori possono permettersi. Il film appare pieno e, a volte, esageratamente carico di simboli che il regista sapientemente inserisce nelle sue inquadrature. Ogni sequenza, che andrebbe stoppata e analizzata fotogramma per fotogramma, diventa la colonna portante di ogni singolo momento che Anderson decide di raccontare.

Forse il film andrebbe visto più volte per poter cogliere meglio l’atmosfera narrativa che il regista ha voluto creare. Anderson è incontinente e non riesce a mettere su di una pellicola tutto quello che vorrebbe. E spesso questa quantità enorme di informazioni rischia di distogliere l’attenzione da un prodotto comunque di ottima fattura che si distingue dalla produzione cinematografica spesso omogenea e costruita più in una catena di montaggio che in una piccola e polverosa bottega di immagini come è quella del visionario Wes Anderson.

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RIVISTO

IL TRENO PER DARJEELING, di Wes Anderson (The Darjeeling Limited, Stati Uniti 2007, 91 min.).

Molto più scarno e lineare di altri progetti del visionario e barocco autore statunitense. Il viaggio di tre fratelli diventa il pretesto per raccontarci di civiltà lontane da noi ma molto più moderne ed umane di quanto si possa immaginare.

Un viaggio onirico ed eccentrico di tre anti eroi che devono fare i conti con una famiglia disgregata e “diffusa” che poco ha a che fare con l’idea convenzionale e tranquillizzante che, della famiglia, ha la società moderna, ipocrita e superficiale.

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