VISTO&RIVISTO Un mondo al contrario, dove i bambini sono più grandi dei grandi

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di Andrea Minchella

VISTO

CAFARNAO – Caos e Miracoli, di Nadine Labaki (Capharnaum, Libano 2018, 120 min.).

Tanto caos. Un solo miracolo. Questo terzo film di Nadine Lebaki cerca di fotografare in maniera oggettiva, e in parte ci riesce, la disperata realtà dei bambini che vivono nelle grandi e povere città di tutto il mondo. Qui siamo a Beyrut, ma questa storia, struggente e surreale, poteva svolgersi a Bombay, a San Paolo o a Nairobi.

Il caos che avvolge la vicenda sembra essere la normale routine che scandisce la vita di tante persone, che lottano ogni giorno per raggiungere livelli di umanità che noi occidentali, invece, diamo per acquisiti e, giustamente, intoccabili. Il piccolo Zain, invece, si trova costretto a lottare già in quel luogo in cui, in teoria, tutti dovrebbero essere protetti: nella famiglia. Proprio a casa, infatti, il protagonista troverà continue ostilità da parte di due genitori la cui unica ricchezza risiede in una prole numerosa e abbandonata a sé stessa. E qui prende vita il miracolo dell’intera vicenda: il piccolo, ma già troppo cresciuto, Zain si oppone alla deriva morale e alla disarmante disumanità dilaganti, e decide di cambiare, o tentare di farlo, il destino delle persone a cui sembra essere legato in maniera viscerale. Pare esserci ancora il cordone ombelicale tra lui e la sorella Sahar, promessa sposa di un commerciante della città. Zain cerca in tutti i modi di non far crescere la sorella. Cerca in ogni modo di negarle la maturità, che porterebbe con sé solo dolore e tragedia. Cerca di portarla lontano da casa, ma la perde, e contestualmente incomincia un viaggio “Collodiano” tra sgangherati Luna Park, squallidi mercanti di uomini e umili baraccopoli, in cui però il calore genuino dell’amore materno, estraneo ma universale, riuscirà a scaldare anche il piccolo cuore martoriato dal dolore del gracile protagonista.

La storia si sviluppa attraversando, trafiggendola come una lama, il doloroso ed attuale tema dell’immigrazione clandestina e del sanguinoso business che le ruota intorno. Con mano, la regista, ci fa toccare i corpi martoriati, smagriti e indeboliti, delle persone che si affidano a spietati mercanti per la speranza di un viaggio verso l’umanità, verso un luogo dove essere madre, o essere semplicemente un bambino, non comporta necessariamente uno sforzo sovraumano, con il rischio di perdere, nel giro di pochissimo tempo, il proprio figlio, o l’amata sorellina.

La circolarità della storia ci riporta, alla fine della pellicola, alla scena iniziale: siamo in un tribunale dove si sta aprendo un processo tanto surreale quanto paradossale. La presa di coscienza di un bambino, rispetto al sordo e cinico mondo degli adulti, rimane un tema universale che ben si presta a racconti profondi e realistici come questo riuscito lavoro della Lebaki.

RIVISTO

HOOK – Capitan Uncino, di Steven Spielberg (Hook, Stati Uniti 1991, 136 min.).

E se Peter Pan diventasse adulto? Da questa semplice domanda prende spunto il Kolossal dei primi anni novanta di Steven Spielberg. Un film certamente non perfetto, ma che riesce ancora oggi a raccontarci alcuni aspetti della fantasia in maniera originale e poetica. Il grande e serioso Peter Pan, interpretato da un bravissimo e profondo Robin Williams, deve fare i conti con il suo passato di bambino immerso nei sogni e nella fantasia, poiché il malvagio Capitan Uncino, il gigantesco Dustin Hoffman, ha rapito i suoi figli.

E così Spielberg può catapultare lo spettatore in un’”isola che non c’è” accuratamente ricostruita dai bravi scenografi di Hollywood che trasformano egregiamente in tre dimensioni ciò che ognuno di noi ha immaginato ed ascoltato migliaia di volte nelle fiabe raccontate quando eravamo piccoli. Sembra un vero e proprio Luna Park il luogo in cui, un tempo, Peter Pan viveva e giocava con i suoi numerosi amici, che ritrova non appena sbarca sull’isola. Ritroverà anche la magica Trilly, una tiepida Julia Roberts, e una serie infinita di personaggi che animano, più di una metropoli americana, questa pittoresca e labirintica “Isola che non c’è”.

Uno dei lavori meno riusciti di Spielberg, ma pur sempre un genuino e affascinante viaggio nelle profondità più nascoste del mondo della fantasia e dei sogni.

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