VISTO&RIVISTO Una storia scura in un film gentile

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di Andrea Minchella

VISTO

MOTHERLESS BROOKLYN – I SEGRETI DI UNA CITTA’, di Edward Norton (Motherless Brooklyn, Stati Uniti 2019, 144 min.).

A quasi vent’anni dalla sua prima regia Edward Norton decide nuovamente di cimentarsi con la macchina da presa. E non solo. Infatti in questo “Motherless Brooklyn” apprezziamo la capacità recitativa di Norton e anche la sua bravura nel tradurre il bel romanzo da cui è tratta la pellicola in una sceneggiatura equilibrata e perfettamente incastrata nella chiara e lineare linea narrativa del film. Norton decide di raccontare una storia di violenze e soprusi scegliendo, però, un registro leggero e ottimistico. Gli occhi del racconto, infatti, coincidono con quelli del buono e sincero Lionel, detto Brooklyn, che, con il volto e l’anima di Norton, diventa l’inconsapevole eroe di una delle tante brutte vicende che attraversano da sempre la vita delle grandi metropoli. Lionel, orfano di madre biologica, investigatore in una New York dove l’espansione edilizia sta vivendo un periodo frenetico ed incontrollato, assiste all’omicidio del suo capo Frank Minna, colui che probabilmente era riuscito di nuovo a farlo tornare a sentirsi come un figlio. Brooklyn, così, decide insieme ai suoi colleghi dell’ufficio di investigazioni, ormai rimasto senza un capo, di indagare sull’omicidio di Frank. Entrerà quindi in un mondo fatto di abusi, violenze, mazzette, sfratti e razzismo. Lionel, però, anche se affetto dalla sindrome di Tourette, che rende difficili le relazioni sociali, riesce, grazie alla sua gentilezza primordiale e alla sua memoria fotografica, ad inserirsi nel mondo in cui si muovono anche gli assassini di Frank.

Un film, questo, ben costruito sia dal punto di vista scenico, le riprese a New York sembrano davvero essere state fatte nella New York degli anni cinquanta, sia dal punto di vista della scrittura e della grammatica filmica. Norton prende spunto da diversi registi che hanno lasciato il segno nella cinematografia mondiale, Capra, Hitchcock, Boyle o Fincher, e crea un’originale opera dal registro gentile e buffo, che si discosta dalla linea stilistica violenta e iper realistica seguita, spesso, dalla cinematografia contemporanea.

Norton racconta una storia grigia e triste cercando di mettere al centro il suo punto di vista, quello di Lionel, che trasforma ogni bruttura in uno spunto per esprimere, con un grido incontrollato, la parola dell’anima, la parola che non usiamo di solito perché costretti in regole sociali, spesso, asfissianti e stringenti. Lionel, con il suo disturbo buffo e quasi rassicurante, può dar voce a quella parte di noi che, invece, rimane ferma e in silenzio, anche davanti alle situazioni più violente e raccapriccianti. L’interpretazione di Norton va a solleticare un’altra grande interpretazione di disagio di questo periiodo: quella del Joker schizofrenico del profondo e centrato Phoenix.

Norton ci regala un bel “noir” che racconta di come una grande città, come la New York di oggi, abbia attraversato momenti difficili in cui la violenza e il razzismo erano le monete di scambio tra i potenti. Norton, però, con la narrazione del fragile ma intelligente Lionel cerca di dare una graziata e calorosa speranza per il futuro.

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RIVISTO

RAIN MAN – L’UOMO DELLA PIOGGIA, di Berry Levinson (Rain Man, Stati Uniti 1988, 126 min.).

Dopo “Top Gun”, che aveva elettrizzato il pubblico di tutto il mondo, ci si aspettava un altro bel film in cui il bello ed impossibile Tom desse prova di quanto fosse forte e temerario. Invece con “Rain Man” il mondo si commosse e conobbe un Tom Cruise capace di recitare in maniera profonda e sincera. Accanto a lui un gigante come Dustin Hoffman che in questa pellicola aggiunge una pietra miliare nella sua già lunga e camaleontica carriera. Qui, infatti, Dustin Hoffman interpreta Raymond, un signore di mezza età affetto da una forma di autismo. Raymond, fratello sconosciuto a Charlie, Tom Cruise, sarà l’unico mezzo per raggiungere un eredità destinata ai due fratelli. Comincerà, quindi, uno dei viaggi cinematografici più intensi della storia. Un bello e aitante Tom Cruise con un disturbato e disturbante Dustin Hoffman in un’America che stava ormai salutando l’era d’oro di Regan per accogliere una epoca più scura e meno rassicurante.

Una potente storia sull’amicizia fraterna o sulla fratellanza che vive e sopravvive al di là di ogni difficoltà che la vita ci riserva. Un film perfetto e poetico da rivedere anche per la preziosa interpretazione della bravissima Valeria Golino.

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