Whirlpool, rimpianti cinesi e incognite turche 

Whirlpool turchi cassonetta biandronno

Chi lavora nel bianco lo sa. Dagli Anni Cinquanta si sono persi milioni di posti di lavoro e oggi l’Italia ricopre un ruolo marginale. Ariston, Ignis, Zanussi: sono tutti in mano ai colossi stranieri. Di proprietà italiana sono rimaste Smeg, Elica e il Gruppo Bertazzoni: qualche migliaio di dipendenti in totale, di fatto una riserva indiana in un settore mutato radicalmente e che rischia di cambiare pelle ancora una volta con l’acquisto dell’Area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa) di Whirlpool da parte dei turchi di Arcelik.

Cassinetta, fino a pochi mesi fa, sembrava destinata a issare bandiera cinese. Piacesse o meno la soluzione asiatica, la strategia di Midea Group era fin troppo chiara: produrre. Per loro l’Europa era una landa desolata e lo stabilimento varesino irrinunciabile terra di conquista. Chi non ha fabbriche sul territorio non può pensare di chiudere, né tantomeno di ridimensionarsi. 

Più indecifrabili le intenzioni di Arcelik perché la Turchia, già da anni, ha scalato le classifiche diventando in Europa un polo produttivo di primaria importanza per innovazione, tecnologia e prestazioni nel mondo degli elettrodomestici. Se ne accorse la stessa Whirlpool che, dopo aver aperto stabilimenti in Polonia e Slovacchia a inizi Duemila, ha acquisto Indesit e la sua fabbrica a Smirne. Nel Risiko industriale, all’epoca, avere una facility in Turchia era requisito irrinunciabile per aprirsi sul mercato del Golfo e nel Maghreb. Con il risultato che i turchi oggi sanno fare gli elettrodomestici come noi, forse meglio di noi, a costi di manodopera decisamente inferiori. 

Perché dunque Arçelik (che conosciamo per i brand Beko e Grundig presenti nelle nostre case) compra Whirlpool? Che interesse avrebbe di produrre in Italia se non necessità di acquisire competenze che già possiede o di fabbriche visto che ne ha in funzione a poche migliaia di chilometri di distanza? 

Alla prima domanda si potrebbe rispondere facilmente: acquisisce un marchio con una notorietà mondiale per imporsi ancora di più sul mercato con velleità egemoni, ma soprattutto per evitare di trovarsi – dopo Haier – la scomoda e potente concorrenza cinese in casa. Per la seconda invece l’unica risposta è la tremenda preoccupazione già immediatamente espressa dai sindacati che invocano la salvaguardia dell’occupazione e l’intervento del governo per proteggerli alle spalle. Perché in fase di annunci le promesse sono sempre esaltanti, ma ai primi venti di crisi e con una ridondanza di linee, chi sopravviverà? Smirne con una manodopera che lavora a basso costo su tre turni o Biandronno? Perché i politici presenti alla fiaccolata dello scorso ottobre sono tutti in silenzio proprio ora che c’è bisogno di garanzie? Verificare le intenzione del nuovo colosso industriale è un’operazione che va fatta oggi, per evitare di piangere sul latte versato domani. Con lo stabilimento di Comerio ancora vuoto, la provincia di Varese non può permettersi di perdere anche Cassinetta. Soltanto immaginarlo, fa tremare i polsi. 

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