17 maggio 1972, cominciano gli “anni di piombo”

pellerin calabresi anni piombo
Il commissario Calabresi testimone in un processo

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, una nazione che non sa ricordare il passato non può leggere correttamente il presente e ancor meno può riuscire a interpretare il futuro. Sono passati cinquant’anni da quel 17 maggio 1972 e molti di voi erano giovani o molto giovani e forse alcuni non erano ancora in questo mondo. Fu un giorno funesto ed io vi racconto il perché.

Il 12 dicembre 1969 una bomba furente e assassina ammazza 17 persone e ne ferisce 88 presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, in pieno centro a Milano. Sempre a Milano viene ritrovata un’altra bomba inesplosa in piazza della Scala. Per molti quella data fa da spartiacque nella storia della repubblica. Alcuni affermarono poi che allora iniziò un periodo chiamato “della strategia della tensione”. Gli investigatori puntarono sulla pista anarchica con scarsi risultati. Arrestarono il ferroviere Giuseppe Pinelli che fu interrogato dal commissario Mario Calabresi. La notte del 15 dicembre, dopo un fermo prolungato oltre misura, il malcapitato cadde dalla finestra della questura e morì. Le fonti ufficiali affermarono che Calabresi non era presente poiché stava portando i verbali dell’interrogatorio al capo dell’ufficio politico Antonino Allegra. Al momento tutti sposarono la tesi del suicidio. In realtà non tutti.

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Ivanoe Pellerin

Calabresi diventò il bersaglio di una campagna d’odio mai vista prima d’allora. La magistratura indagherà e scagionerà completamente il poliziotto ma questo non avrà alcun rilievo e gli attacchi ignobili, le ricostruzioni inventate, le minacce volgari si moltiplicarono. Si scatenò una vera e propria campagna d’odio violenta e continua. Scritte sui muri, volantini, slogan, lettere ai giornali, tutto rivelò un’ostilità crudele e corale che puntava su un unico bersaglio. Non posso dimenticare che contro di lui si mossero ottocento intellettuali (sic) che firmarono un terribile manifesto. Ottocento firmatari che si lanciarono sulla vittima designata con una foga e una violenza inusitata per l’epoca. Ottocento firmatari che rappresentavano l’intellighenzia d’allora, giornalisti, accademici, l’establishment culturale, si ritrovarono uniti nell’indicare la vittima. Ottocento firmatari che individuarono il capro espiatorio della bufera politico-sociale e della follia ideologica che si andava costruendo all’orizzonte e che avrebbe investito la repubblica per molti, molti anni. Certo, in seguito molti abiurarono, alcuni ritrassero la mano distratta, altri negarono lo scritto, pochi, molto pochi ebbero il coraggio di dichiarare l’errore e di chiedere scusa.

Due anni e mezzo dopo la strage di piazza Fontana, il 17 maggio 1972 alle 9,15 il commissario Mario Calabresi esce di casa in via Cherubini, zona Pagano, quartiere borghese, saluta la moglie Gemma e si avvia verso la solita cinquecento. È in ritardo ma torna in casa, si cambia la cravatta e riesce. Ha un appuntamento con il destino e con la pistola di Ovidio Bompressi che gli spara alle spalle e non gli lascia scampo. Rimarrà lì a terra in mezzo al sangue, in mezzo alla gente incredula e in attesa dei soccorsi e della tragica e inutile corsa in ospedale dove morirà quasi subito lasciando una giovane moglie, due figli e un terzo in arrivo.

La storia confermerà che i legami tra il partito armato di Lotta Continua, alcuni intellettuali della sinistra militante ed elementi dell’estremismo di sinistra si stavano consolidando. Le Brigate Rosse ​erano già presenti ma non avevano ancora osato azioni violente. Il 17 maggio 1972 segna di fatto l’inizio degli “anni di piombo”, il piombo non solo dei proiettili ma anche delle parole, una terribile epoca di violenza che ferirà la nostra Italia e le coscienze degli italiani per molti anni e che culminerà con l’assassinio di Aldo Moro.

Il commissario Mario Calabresi, girava disarmato, era un poliziotto senza pistola, come ebbe a dire un suo collega e poi prefetto di Milano, Achille Serra. Cattolico devoto (“sono nelle mani di Dio”), aveva il senso delle Istituzioni, si considerava un servitore dello Stato, così sempre in tutte le situazioni anche le più critiche, dove dimostrò moderazione e cautela. Ma in quel momento, subito dopo la tragedia di Pinelli, fu lasciato solo, in balia di una ferocia corale che montava giorno dopo giorno. I giudici milanesi accertarono che l’omicidio venne preparato all’interno di Lotta Continua, dai suoi dirigenti Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani e poi realizzato da Ovidio Bompressi che verrà recuperato sul campo dal complice, l’autista Leonardo Marino. Finiranno in manette dopo il pentimento proprio di Marino ed una sconcertante sequenza giudiziaria giudicò in modo alterno le responsabilità di tutti. Nel mentre si replicavano le sentenze, Pietrostefani riuscì a riparare in Francia. I primi tre pagarono con il carcere e naturalmente la magistratura di Milano fu criticata dagli uni e dagli altri, secondo l’indirizzo politico. Proprio in questi giorni il tribunale di Parigi deve decidere sulla sua estradizione.

Cari amici vicini e lontani, la data dell’omicidio Calabresi, il 17 maggio 1972, con la doppia tragedia della strage di Piazza Fontana e della caduta di Pinelli, deve essere ricordata come uno dei giorni più bui della storia del dopoguerra italiano. Nella triste ricorrenza, in un’intervista alla Stampa, la Signora Gemma Calabresi ha avuto parole di perdono e di ritrovata serenità per sé e per i suoi figli. Forse è la fine più degna di questa terribile vicenda.

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