A Varese vince Galimberti. Ma Bianchi non perde

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La percezione che a Varese, al ballottaggio, avrebbe vinto Davide Galimberti era diffusa fin da un minuto dopo i risultati del primo turno. Perlomeno, lo immaginavano in tanti, anche se nessuno lo ha detto in modo esplicito a microfoni accesi. Per scaramanzia più che per i divieti imposti da norme antistoriche, che evocano una sorta di malcelata censura pre elettorale. Ha vinto Galimberti perché ha presentato un biglietto da visita di sostanza, con tante opere pubbliche messe in cantiere o realizzate nel corso del suo primo mandato. Ha vinto perché ha offerto un’immagine di affidabilità nonostante certi trascorsi turbolenti, più o meno fisiologici in politica, della maggioranza che lo sosteneva. Ha vinto anche in scia alla rimonta del centrosinistra nelle principali città del Paese, rimonta che ha fatto da traino alla riconferma del sindaco di Palazzo Estense.

Ma se Galimberti ha vinto, Matteo Bianchi, il suo avversario diretto, non ha perso. Quella dell’esponente leghista è una vittoria morale rispetto alla situazione del centrodestra che, sotto il Bernascone, non sembra deporre per una serena convivenza interna. Bianchi è entrato in scena dopo la rinuncia alla candidatura, per i noti motivi di salute, di Bobo Maroni, riempiendo un vuoto pesantissimo e in osservanza alla logica di partito che voleva un “sindaco” leghista doc. Bianchi perde vincendo. Ossimoro che dice tutto di un politico perbene, pronto a lasciare i benefici, economici ma non solo, del parlamentare per caricarsi delle rogne amministrative di un sindaco. Esempio commendevole rispetto anche all’impegno che ha profuso in campagna elettorale, senza perdere un colpo, senza abbandonarsi alle derive verbali di una certa politica che al confronto civile preferisce lo scontro e le contumelie.

Fairplay che ha caratterizzato i due contendenti fin dall’inizio, che alla fine hanno polarizzato il voto e, con le loro squadre, formeranno quasi al completo il prossimo consiglio comunale a Palazzo Estense. Scenario che discende dai risultati del primo turno, disastrosi per le altre liste in gara, e dalla mancanza di apparentamenti prima del ballottaggio.

Centrosinistra e centrodestra chiamati a una attenta analisi sui perché e sui per come di quanto accaduto a Varese, in controtendenza rispetto a Gallarate e Busto Arsizio. Lì i candidati del centrodestra hanno stracciato i rappresentanti del centrosinistra. I due schieramenti devono domandarsi e capire come mai nella stessa provincia, nello stesso territorio, con un uguale humus politico, si registrino sbocchi elettorali differenti. Qual è, insomma, il motivo che ha fatto propendere per una coalizione piuttosto che per un’altra. Forse non è sufficiente affermare che nel capoluogo, in queste settimane, ha messo le tende Matteo Salvini, esasperando il dato politico, e, con questo, incidendo in modo negativo anche sul tradizionale elettorato leghista. Forse l’analisi deve fermarsi ai perimetri delle singole città, alla concretezza delle giunte, tant’è che sono stati premiati i sindaci uscenti. Come dire, la politica politicante ha stufato.

E nemmeno basta soffermarsi sull’assenteismo alle urne, un dato comunque preoccupante a fronte dei doveri civici che dovrebbero riguardare ciascuno di noi. Così che anche a Varese, come altrove, il sindaco è eletto da una minoranza dei cittadini. Tutto regolare, ci mancherebbe, ma spiazzante rispetto al mandato che riceve un’amministrazione. Soprattutto in tempi di post pandemia, con i soldi del Pnrr in arrivo che, scontato persino pensarlo, devono essere spesi bene. Con sindaci legittimamente in carica, ma dimezzati nei consensi.

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