Affollatissimo, il Manzoni di Busto applaude il magistrato Caselli

BUSTO ARSIZIO – «Viviamo tempi travagliati. In calce alla nostra Costituzione ci sono tre firme, Einaudi, Terracini e De Gasperi. Tre ideologie differentissime, quasi opposte. Eppure i tre hanno trovato la forza di fare insieme qualcosa. La storia ce l’ha detto». Non vuole sbilanciarsi e soprattutto non vuole dare lezioni di politica Gian Carlo Caselli intervenuto in un Manzoni pieno zeppo (da giorni posti esauriti) ieri sera in occasione dell’iniziativa sulla legalità organizzata per commemorare il 2 giugno da Libera, Anpi, Coop e la Filarmonica Santa Cecilia di Sacconago. Lui, il magistrato piemontese che ha trattato reati di terrorismo, Brigate Rosse e Prima linea, lui che è stato componente del Consiglio superiore della magistratura, ha dato lezioni di vita sul palcoscenico di via Calatafimi. Ha ricordato le tappe salienti della sua vita, ma tra le righe non poteva non commentare lo status quo della politica italiana. E in una maniera elegante che contraddistingue la sua figura ha lasciato trapelare l’importanza della collaborazione tra le forze politiche in campo, in nome del bene dello stato. E ha calcato la mano: «Ho deciso di fare Legge quando ho percepito l’opportunità di fare qualcosa di utile alla collettività. Quindi oggi urge la necessità di collaborare per la collettività. La libertà è come l’aria: si capisce quando comincia a mancare».

Le tappe della vita di Gian Carlo Caselli

Alternate alle pièce musicali della Filarmonica Santa Cecilia che diretta dal maestro Francesco Carcello ha intrattenuto la platea con Puccini “Nessun dorma”, “Grease”, Guccini “Cirano”, “Profondo Rosso”, “La forza della vita”, “La giustizia che vorrei”, “Il canto degli italiani” solo per citarne qualcuna e introdotto dalla giovane e abile presentatrice Sara Genoni, il magistrato ha ripassato gli step della sua vita. Il pubblico di ogni età ha ascoltato attentamente la storia di un ragazzino nato e cresciuto in una famiglia modesta, dove i genitori tiravano la cinghia. Vivevano dentro una fabbrica che ha consentito al giovane Gian Carlo di toccare con mano il lavoro e la fatica, ma anche la coerenza, il saper restare fedeli alle cose in cui si crede. Frequentate le scuole dei Salesiani, ha fatto suo il messaggio della scuola: creare buoni cristiani e onesti cittadini. «Perché – afferma – onestà significa legalità, fondamento della mia attività professionale». Poi la scelta dell’università con la prospettiva di poter ricompensare i suoi genitori e il desiderio forte di capire l’importanza di regole, leggi, diritti.

La svolta

Poi la svolta nel ’74, quando arrivano sulla scrivania i processi belle Brigate rosse. Un momento impegnativo per cui il magistrato non può che ringraziare la famiglia. «Mia moglie e i miei figli hanno iniziato un periodo di forti paure, ansie e tensioni, ma se sono riuscito a fare quello che ho fatto lo devo ai miei cari, che hanno saputo sempre sostenermi anche di fronte a scelte impegnative, radicali e pericolose». Come quando il togato si è trasferito a Palermo. Dopo la strage di Capaci ha sentito forti le parole giunte da un ambasciatore dal giudice Borsellino: “Il giudice Borsellino le manda a dire che non è ancora arrivato il momento della pensione”. Parole che dopo l’uccisione anche di Borsellino risuonano come una chiamata per Caselli. A questo si aggiungono anche le parole di Nino Caponnetto, il magistrato che ha guidato il pool antimafia dall’84 al ’90: “E’ tutto finito. Non c’è più niente da fare”. «A quel punto avevo davvero capito che era giunto il momento di non permettere che il fenomeno mafioso dilagasse. Non potevo stare a guardare senza intervenire. Così ho fatto fronte comune con Nino Caponnetto».
I risultati del lavoro di Palermo
Si snocciolano dati da far raccapricciare la pelle: beni confiscati per 5 miliardi di euro, ritrovamento di arsenali anche con missili, 90mila indagati, 23mila persone rinviate a giudizio, 650 condanne all’ergastolo. «A quel punto Palermo si riempie di lenzuola bianche per dire no alla mafia e sì alla trasparenza, alla legalità, alla democrazia – tuona Caselli – Un plauso alla gente. La mobilitazione della popolazione è stata decisiva per dire no alla mafia. I collaboratori sono stati davvero tanti. Poi, i dati più allarmanti: i rapporti della mafia con pezzi grossi dell’economia, della politica, dell’informazione. Finchè si arrestano Rina, Brusca, Bagarella e altri boss… ma quando s’intaccano le alte sfere. E Falcone e Borsellino erano entrati in questo sistema».
Cala sipario della serata, un’altra cifra da capogiro: 340miliardi di euro sottratti alla stato dalla mafia. «La corruzione è il danno della nostra economia – conclude il magistrato – Occorre più legalità per migliorare la qualità della vita. Così potremo sperare in un futuro che vale la pena che venga vissuto».

Le scuole

A combattere in nome della legalità, erano presenti studenti del liceo artistico Candiani e scientifico Tosi che hanno esposto i progetti sulla legalità, in particolare la realizzazione di una cooperativa finalizzata alla ridistribuzione dei beni confiscati alla mafia. «Questi ragazzi ci hanno fatto toccare con mano come la scuola possa insegnare qualcosa di concreto, esperienze vissute. Questo si chiama antimafia sociale», ha commentato Caselli.

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