Alberto Franceschini ha raccontato il fallimento delle “sue” Brigate Rosse

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GALLARATE – Il ’68 è un tema caldo a giudicare dal successo dell’incontro promosso dal centro  Culturale “Tommaso Moro” di Gallarate mercoledì sera, 19 settembre: molti i giovani presenti, ma molti anche i giovani di  un tempo, quelli che oggi hanno superato i sessanta. Pochi, purtroppo, i giovanissimi che frequentano ora le scuole superiori.
I relatori, ma appare improprio chiamarli così, perché la serata si è svolta come un dialogo tra due persone, Alberto Franceschini e Claudio Bottini, il primo oggi settantunenne e fondatore delle BR, di sette anni più giovane il secondo, uni dei responsabili  centrali di Comunione e Liberazione, hanno raccontato di sé e di ciò che quel tempo è stato nella loro esperienza. Dal dialogo tra i due e dal dialogo che hanno avuto con il folto pubblico sono emerse ragioni importanti per ripensare a quegli anni drammatici della nostra storia, anni che qualcuno  – con non poca ingenuità, ma con  molta sicumera e tanta boria – ha  definito “formidabili”.

Che cosa ci ha lasciato il ‘68

La domanda posta ai due interlocutori è stata precisa: cosa speravate nel ’68? Che cosa vi muoveva? Franceschini ha ricordato come la contestazione, partita nell’ambito giovanile, si sia poi saldata nell’autunno caldo del ‘69 con i moti operai, in un contesto internazionale reso esplosivo dalla decolonizzazione, dalla guerra nel VietNam, dai movimenti rivoluzionari che si stavano sviluppando nell’America Latina. Quel contesto turbolento e pieno di cambiamenti risvegliò problemi sociali e politici su un humus da cui emergevano il desiderio di felicità e il desiderio di costruire un mondo più giusto: motivazioni che hanno una radice religiosa, non incompatibile con la fede e, infatti, la Chiesa stessa, da poco uscita dal Concilio Vaticano II, scossa dal Pontificato di Giovanni XXIII, il “Papa buono” e toccata dalle denunce della Populorum progessio di Paolo VI (1967) non passò indenne attraverso quegli anni percorsi da aspirazioni e desideri costitutivi del cuore di ogni uomo, che da sempre aspira alla felicità, alla giustizia, alla autenticità e alla positività.

Ideologie ingannevoli e false

In quegli anni le ideologie cominciarono ad incrinarsi, perché le “verità” che esse proponevano stavano dimostrandosi ingannevoli e false: non a caso i giovani cresciuti nel PCI cominciavano a distaccarsi dai leader e a teorizzare la lotta armata: “Lo Stato borghese si abbatte, non si cambia” ero lo slogan ricordato da Franceschini, che portò molti militanti ad abbandonare un  PCI ritenuto prono al compromesso con la borghesia. Anche Bottini, dal canto suo, ha confermato come chi ha una fede sincera non può non desiderare di cambiare in meglio un mondo pieno di contraddizioni, di ingiustizie e di male, sottolineando come la proposta cristiana non sia un’ideologia, ma un cambiamento di mentalità, una “metanoia” direbbe san Paolo, che scaturisce dall’incontro imprevedibile con l’Umanità di Cristo, che affascina e prende il cuore dell’uomo, rispondendo al suo bisogno di Verità.

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Mario Sossi e Aldo Moro

Franceschini ha ricordato che i giovani comunisti di Reggio Emilia cominciarono a teorizzare la lotta contro lo Stato “democratico” a partire dai fatti accaduti  nella città emiliana quando la polizia uccise cinque manifestanti contro il Governo Tambroni  (luglio 1960); lui non uccise nessuno ed, anzi, insieme ad altri due carcerieri del giudice Mario Sossi, da lui sequestrato nel 74, ne decise la liberazione dopo un mese di detenzione nel “carcere del popolo”, in opposizione  agli altri brigatisti, che l’avrebbero voluto uccidere. Franceschini non ha saputo motivare l’uccisione di Aldo Moro: interrogato espressamente, ha riconosciuto che l’assassinio dello statista democristiano è stato un errore decisivo che ha fatto fallire il progetto delle BR e degli altri gruppi eversivi. Non ha raggiunto nessun obiettivo, ma la lotta armata, per Franceschini, è stata una “grande vaccinazione”, perché dovrebbe aver insegnato che essa non risolve nessun problema e, anzi, li aggrava tutti.
Certo: anche un insuccesso può favorire la rinascita e la ripresa, ma a quale prezzo! L’ex brigatista ha riconosciuto il proprio fallimento: dei tanti morti occorre rendere conto, per questo egli crede che chi ha fatto la lotta armata debba cercare, in qualche modo, di costruire una possibile convivenza con i parenti delle vittime.

La necessità di farsi perdonare

Non c’è nulla da spiegare o da giustificare, c’è solo da farsi perdonare. Siamo diversi, veniamo da storie diverse, ha riconosciuto anche Bottini a mo’ di conclusione: “ma c’è un cammino che si può fare insieme”. Questo dovrebbe essere l’impegno comune di tutti, ma la premessa non può essere che il perdono, cioè la capacità di accettare chi è diverso da noi, di interloquire con lui, riconoscendo che egli è un bene per noi. Accettarsi reciprocamente, riconoscersi come dono reciproco. Essere “perdono” l’uno per l’altro: “per-dono”; il “per” latino è  un prefisso che si usa talvolta per formare il superlativo: il “perdono” dunque,è una sorta di “super-dono”. Non è difficile dirlo: difficile è comprenderlo e viverlo nella vita concreta di ogni giorno.
Uscito dal carcere, qual è la prima cosa che ha fatto? “Ho guardato il cielo”, ha risposto  Franceschini a chi gli aveva posto la domanda, spiegando che nel carcere la visione non va mai più  su della cinta muraria. Ma in quella risposta c’è anche un significato simbolico. Grande è la  responsabilità di chi, come i cristiani, dicono di avere incontrato Cristo: “La speranza    nei cieli – ci  ha ricordato Benedetto XVI – non è nemica della fedeltà alla terra. Confidando in ciò che è più  grande e definitivo, noi cristiani possiamo e dobbiamo infondere la speranza anche in ciò che è  provvisorio, nella dimensione politica e nella sfera delle istituzioni. Un compito bello ma difficile  da svolgere in un contesto nichilista come quello in cui viviamo oggi. I terroristi hanno sbagliato,  molti si sono pentiti e stanno cambiando vita, altri sono rimasti nell’errore e danno ancora prova di  disumanità (come non pensare al pluriomicida Cesare Battisti, latitante in Sud America?). In molti  c’era una tensione ideale vera, sbagliata nel modo di agire, ma a modo suo vera e comprensibile, ma che squallore nichilista nei girotondini di Nanni Moretti e in certi movimenti dei nostri giorni!

Cambiare è possibile

In qualche modo l’incontro ha avuto una provocazione positiva: cambiare è possibile, a  patto che la passione per la Realtà prevalga sullo schematismo freddo e burocratico dell’ideologia, a patto cioè  che ciascuno parta dal suo desiderio di Verità e la cerchi davvero anziché costruirsela a suo piacere.
L’incontro promosso dal “Tommaso Moro”, in fondo, ha fatto vedere che confrontarsi è possibile  anche tra persone con strade e percorsi diversi: la ricerca seria della Verità mette tutti sulla stessa via e rende possibile il miracolo dell’incontro e di una convivenza buona e costruttiva, utile a tutti.

Luigi Patrini

Franceschini br patrini – MALPENSA24