Alitalia cambia look e manda in crisi un’azienda di Gallarate. Un milione di euro di divise destinate al macero

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GALLARATE – C’è un’azienda, a due passi da Malpensa, che da vent’anni veste gli equipaggi delle più prestigiose compagnie aeree al mondo. Dalla testa ai piedi. La Egv1 Ha prodotto le divise per Etihad, Saudi Aramco, nonché per praticamente tutti i vettori italiani (Ernest, Volare, Neos, Blue Panorama). Due anni e mezzo fa, un’opportunità imperdibile: Alitalia. Sì, l’azienda tessile di Gallarate si era aggiudicata l’appalto per la produzione delle attuali divise rosse e verdi , il simbolo del rilancio della ex compagnia di bandiera finita nelle mani degli emiri di Abu Dhabi. Ma quello che doveva essere il coronamento di una storia di successo imprenditoriale, per l’azienda di Valerio Fumagalli si sta trasformando nel peggiore degli incubi. La crisi di Alitalia sta mettendo in grave difficoltà anche lui con i suoi quindici dipendenti.

Divise al macero

Alitalia – oggi in mano ai commissari straordinari e salva soltanto grazie al prestito ponte da 900 milioni di euro garantiti dal governo di Roma – anziché pensare di utilizzare le risorse statali per il rilancio delle attività aeree, ha pensato bene di cambiare ancora le divise per i suoi circa 6mila dipendenti. Solitamente durano dieci anni, questa volta soltanto diciotto mesi. Un nuovo look, annunciato lo scorso novembre attraverso un comunicato stampa, affidato ad Alberta Ferretti, per un costo stimato in diversi milioni di euro. Ecco come Alitalia sta investendo i soldi dei contribuenti. La stilista  avrà il compito di «rinnovare l’immagine della compagnia italiana, con una collezione che coniughi eleganza e praticità per garantire a tutto il personale, di volo e di terra, comfort e benessere in ogni occasione lavorativa e in tutte le stagioni». Per la Egv1 si tratta di una grave e inaspettata svolta dopo aver vestito circa 6mila persone e prodotto 230mila capi in due mesi e mezzo per soddisfare la vestizione del 2016. Ora si trova con una fattura non pagata da 200mila euro, 44mila euro di Iva rimasta incagliata nella procedura che ha portato al commissariamento, ma soprattutto un milione di euro circa di merce in magazzino destinata a finire al macero. Naturalmente a spese della Egv1, che subisce gravissimi danni  a causa di un investimento così ingente andato in fumo.

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Una inevitabile causa dall’esito incerto

«Il contratto siglato, di durata quinquennale, prevedeva che al termine avrebbero ritirato tutta la merce rimasta in magazzino», spiega Valerio Fumagalli, amministratore delegato della Egv1. Ma il disimpegno di Etihad, con l’inevitabile ricorso alla legge Marzano per salvare Alitalia dall’ennesimo fallimento, ha cambiato le carte in tavola. Anche il contratto con la Egv1, dal valore di 15 milioni di euro e una durata di cinque anni, fino al 2021. Il commissariamento, lo prevede la speciale normativa, ha rimesso in discussione tutti gli impegni assunti con i fornitori. Anche con la Egv1. A cui prima (era il 16 maggio 2017) hanno confermato il contratto alle stesse condizioni («ci hanno intimato a continuare per non incorrere in sospensione del servizio pubblico, così noi abbiamo continuato a produrre»), salvo poi soltanto sei mesi dopo comunicare al mondo la decisione di cambiare look a tutto il personale. Dopo una lunga serie di inutili solleciti, la Egv1 è stata liquidata con una comunicazione che apre la strada a un’inevitabile causa. Dall’esito incerto, ma sicuramente lunga. Scrive Alitalia il 22 marzo scorso: «Il contratto deve ritenersi definitivamente risolto, restando inteso che la presente non comporta in ogni caso il riconoscimento o l’ammissione di qualsivoglia diritto o pretesa derivante dal contratto». Fumagalli ha così in magazzino un milione di euro di giacche, borse, scarpe, calze, naturalmente non più riutilizzabili. Gli scaffali sono pieni di merce praticamente inutile.  E a beffa si aggiunge beffa: «Io su quella roba ci pago le tasse».

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