Astuti: «Lo scontro istituzionale Governo-Regione Lombardia frena la ripresa»

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MILANO – Dalla gestione dell’emergenza, «che ha mostrato tutte le debolezze del sistema sanitario lombardo»; alla necessità di mettere mano a una riforma rimasta per certo versi incompleta, «appena tutto questo sarà finito». Senza dimenticare che «è ora necessario lavorare sul tema della Fase 2, poiché l’economia dell’Italia riparte solo se riparte anche la Lombardia» e senza sottovalutare «il pesante scontro istituzionale in atto tra Regione e Governo. Tensioni che dovrebbero mettere tutti quanti in allarme, poiché la questione inizia a diventare pesante». Sono questi alcuni dei temi che il consigliere regionale del Partito Democratico Samuele Astuti pone a fronte di una crisi sanitaria che ha colpito in maniera pesante la Lombardia, costretta ancora a tre settimane di ferrea clausura anti Covid.

Astuti, partiamo dai numeri di questa crisi sanitaria in corso. Cosa dicono?
«I dati ufficiali ormai lo sappiamo non sono gestiti benissimo e spesso vengono diffusi in ritardo. Quindi se dovessimo partire da lì per leggere la situazione avremmo un’immagine poco chiara di quanto accaduto e sta accadendo. In realtà se leggiamo e incrociamo tutti i dati, il quadro che ne vien fuori è pesantissimo. Non solo in termini di vittime. Insomma, credo che a questo punto siano sotto gli occhi di tutti le debolezze del sistema sanitario della nostra regione».

Alla luce di quello che è stato a tutti gli effetti uno tsunami, crede che sotto il profilo delle gestione dell’emergenza si sarebbe potuto fare meglio?
«E’ evidente che molte cose non hanno funzionato. Non possiamo nasconderlo. E lo dico con grande rammarico. Però lo tsunami iniziale che ha travolto la Lombardia, almeno nella sua fase iniziale, è stato uguale anche in Veneto. Da noi però esiste un sistema sanitario incentrato quasi esclusivamente sugli ospedali e questa impostazione l’abbiamo pagata in maniera pesante. Per due anni, come Partito Democratico, abbiamo cercato di cambiare rotta. Ora questa emergenza ha messo nudo le debolezza di questo sistema, al quale si dovrà necessariamente mettere mano».

Si riferisce anche al ruolo e all’operatività di Ats, uno degli anelli del sistema che molti dicono siano venuto a mancare?
«L’organizzazione sanitaria territoriale è stata svuotata di competenze e di personale. Credo che questo basti per comprendere molte cose. Finalmente ieri (venerdì 10 aprile, ndr) sono state attivate le Usca, che possono davvero dare un aiuto nella gestione dei pazienti “a casa”. Il problema è che sul territorio dovrebbero essere molte di più: una ogni 50 mila abitanti. Nella nostra provincia ne abbiamo solo tre. Insomma, il dibattito sul sistema sanitario sarà irrinunciabile, appena tutto sarà passato. Ora non è il momento, ma a fine emergenza sarà una priorità da affrontare».

Fine che sembra ancora lontana. Anche se i numeri giorno dopo giorno sono sempre più confortanti. Un po’ meno per la provincia di Varese. Una controtendenza dovuto solo alla delicata situazione delle rsa? 
«Varese e Como sono state le due province più protette a inizio pandemia. Ora però i numeri salgono e qualche preoccupazione la destano. Come anche la situazione nelle rsa. O meglio, in alcune rsa, che oltre al problema Covid-19 hanno dovuto affrontare il problema del personale. In molti casi ridotto all’osso per via dei contagi. Regione ha finalmente messo a disposizione le graduatorie per andare a colmare quella carenza, ma ciò non basta rispetto a quello che è il reale fabbisogno in questo momento».

Veniamo al prolungamento delle restrizioni. Decisione che mette sul tavolo due temi: il primo è che la Lombardia su alcuni passaggi ha assunto, anche questa volta, decisioni diverse dalle indicazioni del governo, vedi l’esempio delle librerie e il secondo è quello di ripresa dell’economia che slitta di altri 21 giorni, aggravando il quadro generale. Partiamo dalla dialettica Governo – Regione che palesa qualche problema. E’ così? 
«Più che di dialettica, a questo punto parlerei di vero e proprio scontro tra istituzioni. Nella situazione in cui siamo i vari passaggi dovrebbero essere concordati passo dopo passo da Governo e Regione. La Lombardia invece ha deciso di fare da sé e quindi dopo aver letto i decreti governativi, bisogna anche capire come vengono recepiti e attuati. Non è bel segnale e di questo sono preoccupato. Non vorrei mai che questa tensione vanga cavalcata da qualcuno per ottenere visibilità politica o per sviare l’attenzione da quelli che sono i reali problemi di oggi e da quelli che dovremo risolvere domani».

La ripresa delle attività al momento è più una preoccupazione che qualcosa di concreto. Per molte imprese il 3 maggio è una distanza siderale. Ma sarà davvero la dead line di questa lunga clausura? 
«Questo non tocca a me dirlo. Quello che invece auspico è che Regione inizi a lavorare in maniera assidua a quella che sarà la Fase 2. Dobbiamo muoverci, poiché l’Italia non ripartirà sotto il profilo economico finché non riparte la Lombardia. Ciò significa che dobbiamo arrivare pronti al giorno in cui potranno ripartire le varie attività. E per farlo è necessario avviare subito un confronto serrato tra gli operatori economici, le rappresentanze sindacali e di categoria per stabile come ripartiremo. Arrivare impreparati sarebbe grave».

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