«Basta con i battibecchi, il governo pensi ai cittadini in crisi»

aime presidente albertini

I privilegi di qualcuno. Oggi siamo di fronte ad un periodo difficile ma da molti ancora sottovalutato per la sua gravità. Pensavamo, ingenuamente e in maniera forse troppo disinvolta, che l’estate avrebbe portato con sé i problemi causati dall’emergenza Covid 19 e che la situazione non si sarebbe piuù ripresentata nella fase autunnale.

Cosi non è stato, e certamente oggi ricoprire un ruolo decisionale di Governo non è facile e richiede senso di responsabilità e di pacatezza, ma anche autorevolezza e determinazione sia sul versante della salute pubblica che dell’economia. Per il nostro Paese è fondamentale, ne va del futuro dei nostri figli e nipoti, che siano attuate con la massima concentrazione, rigore e velocità tutte quelle politiche di riforma e di sostegno alla tenuta ed allo sviluppo economico.

Fa una certa rabbia quindi assistere ai continui balletti e battibecchi tra Governo e Regioni: il Governo decide di chiudere e le Regioni protestano, lo stesso Governo allenta le misure e le Regioni chiedono più severità. Addirittura abbiamo assistito a dichiarazioni che mentre proponevano di chiudere le scuole presentavano l’idea di mantenere aperte alcuni luoghi dove il contagio si è dimostrato più frequente.

Ancora più deprimente assistere ad un dibattito politico surreale di fronte ad un tale dramma sanitario ed economico: a Roma parlano di rimpasto, elezioni, nuovi Premier. In una situazione del genere di tutto si dovrebbe discutere, tranne che di poltrone o di alchimie organizzative, tutti si dovrebbero rimboccare le maniche cercando i migliori strumenti per affrontare questa fase delicata. Il Paese ha bisogno di atteggiamenti e scelte coraggiose, coerenti e praticabili.

Certamente anche noi cittadini dobbiamo essere coscienti di questa situazione e collaborare con comportamenti responsabili. Curiosamente invece stiamo assistendo a comportamenti incomprensibili come quelli di categorie lavorative che indicono scioperi per aumenti di stipendio o per rinnovo dei contratti, a fronte di centinaia di migliaia di lavoratori che rischiano di perdere il lavoro e migliaia di piccole e medie imprese che rischiano di non riaprire più. Siamo di fronte a situazioni schizofreniche che mettono a rischio anche la tenuta sociale.

Ai ristoratori, ai barman, agli albergatori, ai negozianti  si è imposta e si impone la chiusura dei loro esercizi erogando sussidi quasi sempre insufficienti per mantenere in vita le attività; i dipendenti delle aziende private hanno subito e subiscono la cassa integrazione con una conseguente riduzione dello stipendio; i professionisti hanno avuto e hanno un drammatico calo delle richieste di prestazioni e quindi del loro fatturato; nel contempo i dipendenti degli apparati pubblici o per lo meno una parte di essi, naturalmente con esclusione di chi è impegnato nella sanità, sono stati e sono obbligati a lavorare da casa, il più delle volte con scarsi risultati di efficienza, non essendoci le condizioni tecnologiche, formative ed organizzative pronte per poterlo fare.

Comunque in tutto questo periodo questa è l’unica categoria che è stata regolarmente retribuita come se non ci fosse in atto alcun problema. Ciò nonostante alcuni sindacati di categoria, non contenti hanno proclamato scioperi per il rinnovo del proprio contratto di lavoro e per rivendicazioni salariali. Davvero è stato triste che di fronte alla tragedia che il Paese sta vivendo ci sia chi è sceso in piazza per chiedere aumenti di stipendio, sicuro però che il proprio posto di lavoro non è stato, non è e non sarà mai messo in discussione. E’ necessario dunque porsi qualche domanda.

Queste rivendicazioni sacrosante in tempi normali, sono una cosa giusta anche in tempi di una crisi epocale? E i diritti/doveri dei lavoratori non dovrebbero essere universali, quindi uguali per tutti? Perché in assenza della possibilità del lavoro in presenza o del lavoro agile per i dipendenti pubblici, non prevedere anche qui la cassa integrazione? E perché non chiedere con forza nuove assunzioni e la realizzazione di una vera e definitiva digitalizzazione del sistema Stato?

Forse in tempi di emergenza anche da parte sindacale sarebbe doveroso adottare criteri di maggiore cautela e solidarietà. E’ necessario infine cercare e trovare un equilibrio tra pubblico e privato distribuendo però su tutti il fardello dei sacrifici, anche su chi oggi è chiamato a governarci a qualsiasi livello e a dettare le scelte. A questi ultimi una preghiera: le proprie energie le dedichino per i cittadini e non per sterili polemiche e per ricerca spasmodica di una insaziabile visibilità.

Gianni Lucchina, segretario generale di Aime

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