Busto, sentenza Lepri. La delusione della vittima: «La legge non è uguale per tutti»

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BUSTO ARSIZIO – Il giorno dopo la sentenza di condanna a 8 anni per Maurizio Fattobene e a 7 anni per Antonio Vita, gli autori della sanguinosa rapina ai danni di Marco Lepri, benzinaio bustese, ridotto in fin di vita dagli spari di Fattobene il 20 luglio 2018, la vittima e i suoi famigliari commentano la sentenza per tentato omicidio e rapina con una lunga nota che pubblichiamo integralmente.

Marco Lepri 11 mesi fa è stato vittima di rapina a mano armata e tentato omicidio : i malviventi, provenienti da fuori provincia, gli hanno teso un agguato nel luogo più delicato e intimo (la casa); tutto è successo in pochi minuti: malmenato da entrambi, è riuscito a divincolarsi e scappare cercando la via di fuga. La corsa è stata interrotta da 5 (non 3) colpi esplosi alle spalle, di cui uno rimasto fortuitamente in canna, uno mai trovato e 3 andati a segno; leso ad anca e addome, Lepri si è accasciato e, per portare a termine il lavoro, nuovamente percosso da Vita mentre gli veniva sfilato il borsello. Tutto accadeva sotto gli occhi increduli dei clienti del supermercato davanti, degli operai al lavoro per il rinnovo locali e di alcuni dipendenti di un’altra attività lì vicina.
Da qui la fuga dei due, la chiamata del 112, i primi soccorsi: tutto è funzionato alla perfezione; i sanitari sono rimasti sul posto per stabilizzare le condizioni più di 60 minuti (era rischioso muoversi prima) e lo hanno portato in codice rosso direttamente in sala operatoria dove l’equipe ha lavorato per ore e ha dichiarato: “è stato un miracolo, per pochi millimetri non sono stati lesi gli organi vitali: se così fosse stato, nessun soccorso sarebbe servito”. La polizia coordinata dal PM Calcaterra ha immediatamente iniziato le indagini e, grazie alla numerosità delle persone accorse e alla solerzia di alcuni, in poche ore hanno potuto fermare Fattobene (già rincasato e in camera da letto); per Vita ci sono voluti momenti di ricerca e indagine ma, finalmente, dopo 4 giorni eccolo fermato fuori regione, intento a lasciare la provincia di residenza per un po’
Marco Lepri sino ad oggi ha voluto tutelare sé e la sua famiglia: niente dichiarazioni, niente giornali. Aveva bisogno di rimettere insieme le idee e garantire alle sue due bambine serenità e calore pur senza nascondere loro nulla. Da buon datore di lavoro, ha cercato di mantenere operative le attività: quanto accaduto non poteva compromettere anche la stabilità dei dipendenti e delle loro case; così sin dai primi giorni di ricovero ha garantito la gestione amministrativa affinchè si potesse continuare
Appena possibile, in ospedale, ha chiesto di rientrare a casa con stampelle, lesioni da arma da fuoco ancora da rimarginare e incisioni chirurgiche di notevole misura e esercizi respiratori e fisioterapici; pochi giorni dopo la dimissione ha avuto una infezione correlata che non lo ha portato al ricovero solo per non destabilizzare l’emotività delle bambine: 4 antibiotici al giorno per altri 14 giorni. Non ricordiamo la necessità di pareri specialistici nei 6 mesi a seguire: dall’urologo all’ortopedico, dal gastroenterologo al fisiatra. Alcune terapia siano ancora in essere
Il tempo è passato e le lesioni fisiche sono state -in tutto ciò- il minor problema; tutto è cambiato nella vita di Marco e delle persone a lui vicine: ripete sempre «io/noi eravamo felici… ora non lo so… per colpa di qualcuno e nessuno ha il coraggio di dirmi il perchè!». L’approccio dinamico e vivace al lavoro, la spensieratezza, la voglia di crescere e progettare sembrano essere stati congelati in un limbo
La rabbia per l’accaduto c’è (ancora forte) ma il non avere avuto l’unica informazione utile dai malviventi non dá pace: chi è stato il basista? Da Tradate e Cantù nessuno si sveglia per caso e si immagina che un 40enne rientra a casa con l’incasso presunto dai malviventi pari a circa 30 mila euro ???? (peccato che l’informazione era anche errata …. Esattamente 10 volte meno era la realtà quotidiana se la giornata era stata buona)
Fattobene e Vita non parlano… non sanno esattamente … non ricordano! E purtroppo questa volta le indagini di mesi non trovano la risposta sperata
Ed eccoci al processo: viene richiesto il rito abbreviato (un diritto degli imputati che comporta il -30% della pena …. Diritto dovuto: nessuno può negarlo!)
Prima data il 19 marzo : 7 giorni prima dell’udienza, arriva una lettera di pentimento e scuse da parte di Fattobene e, negli stessi giorni, una busta con pochi spiccioli in contanti tramite il legale di Vita: caspita proprio a ridosso dell’udienza (dopo 8 mesi dall’accaduto); viene formalmente accettato tutto, quello che conterà nel processo è la manifestazione del pentimento (se Lepri avesse rifiutato, le buone intenzioni erano comunque considerate attenuanti e la somma simbolica sarebbe tornata nelle tasche dell’aggressore) Ma chi può pensare che un danno così può essere risarcito e perdonato con le modalità usate?
In data 19 marzo viene rinviata l’udienza per incompatibilità del ruolo da parte del giudice individuato: tutto si allunga e l’impegno nella gestione ( emotiva e materiale) si appensantisce.
Seconda data 20 maggio: il processo viene nuovamente rinviato per impedimenti: tutto si allunga e l’impegno per Lepri e la sua famiglia continua a crescere; la serenità conosciuta prima del 20 luglio 2018 è lontana. Terza data 20 giugno : il processo ha luogo. Il pm -dopo valutazione- chiede la pena che, per dovere, deve considerare aggravanti e attenuanti. Interviene l’avvocato della parte offesa: pone l’accento su stato di salute, rischio reale di vita, danno biologico con documentata invalidità permanente, psicologico ed esistenziale; si costituisce parte civile monetizzando il danno in 74mila euro (soldi che Lepri sa bene non riceverà mai in quanto gli imputati risultano nullatenenti ma che dovrebbe essere elemento che sostiene anche la gravità del fatto in sede penale).
Interviene la difesa : l’avvocato di Fattobene lo descrive in precarie condizioni di salute (le stesse che nel 2016 gli avevano fatto ottenere i domiciliari e gli hanno permesso 11 mesi fa di malmenare e sparare al benzinaio) prosegue descrivendolo come persona che ha scritto parole di sincere scuse e pentimento (le cita addirittura in sede di processo) e sottolinea il fatto che, nonostante il curriculum ricco di rapine, Fattobene non aveva mai fatto male a nessuno (si rammenta a chi legge che Fattobene si è presentato a mano armata con 5 bossoli nel caricatore che ha esploso tutti alle spalle di Lepri in fuga) Non soddisfatta degli argomenti, lo stesso avvocato chiede, per il reo confesso apparentemente in fin di vita e agli arresti domiciliari nuovamente concessi dall’ottobre 2018, il cambio domicilio (dalla parente pare non essere a suo agio) e la restituzione di uno smartphone su cui l’imputato conserva gelosamente le foto del fratello deceduto. E’ la volta del difensore di Vita, non presente in aula per motivi non dichiarati (si rammenta a chi legge “apparentemente nullatenente ma che ha trovato dei contanti da esibire prima del processo per simulare il pentimento e capacità economica per remunerare l’avvocato di parte”) : le proposte del pm –con le attenuanti- già lo soddisfano , pertanto non obietta. In sintesi , fatti tutti i calcoli (come in periodi pre-saldo) RICHIESTA DEL PM AL GIUDICE, 8 anni per Fattobene e 7 per Vita : il giudice Limongelli lascia l’aula per rientrare dopo 30 minuti circa con la sentenza.
Marco Lepri e la sua famiglia sono presenti, ascoltano tutto, commentano le richieste e il numero esiguo degli anni di detenzione richiesti; si erano preparati ad una delusione in termini di anni ma quello che hanno sentito è davvero il minimo anche per la giurisprudenza. Ancora una volta decidono che si adegueranno: hanno bisogno di chiudere un capitolo…. e questa è l’occasione giusta.
Limongelli rientra in aula: conferma gli anni e … attenzione: accoglie ogni richiesta fatta dagli imputati: il cambio di domicilio e la restituzione di uno smartphone ! Una cosa sola non conferma: la cifra chiesta dall’avvocato Cova sulla base di tabelle in essere…. ; decide, conscio del fatto che gli imputati non hanno beni o proprietà e che la disposizione rimarrà solo inchiostro sulla carta, di fare uno sconto di 54 mila euro ai poveri imputati che non hanno ucciso Lepri solo per una gran fortuna (millimetri).
Ecco la parafrasi della sentenza letta dalla parte offesa a cui è capitata una cosa più grande di quello che si sarebbe mai potuto aspettare dalla vita. Per il giudice Limongelli (che ha presenziato il processo e emesso la sentenza) uno smartphone da restituire con il domicilio da cambiare ad un delinquente e il silenzio omertoso di entrambi gli imputati hanno pesato maggiormente rispetto a:
1. Lo sconvolgimento emotivo e professionale di un lavoratore 40 enne che, nonostante l’accaduto, ha aspettato che la giustizia facesse il suo corso, vale la reclusione tra i 7 e gli 8 anni
2. Il valore di una vita umana monetizzato a 20 mila euro … aggravato dal fatto che sappiamo rimarranno solo una disposizione
3. La destabilizzazione di un intero nucleo familiare in cui sono stati tutelati e protetti i bambini e le persone più fragili dal primo istante
4. Il futuro che aveva basi solide e sicure sino al tentato omicidio e che oggi vede solo incertezza e precarietà
Alle spalle del giudice c’era scritto La legge è uguale per tutti … dovrebbe anche essere applicata nel rispetto dei diritti innanzitutto della parte offesa se ha l’unico ruolo di “vittima”.
Marco Lepri si è sentito vittima il 20 luglio di due malviventi; oggi si è sentito vittima del processo giudiziario. E’ rammaricato anche per tutto il lavoro svolto dai sanitari per “salvargli la vita” e dalle forze dell’ordine che hanno lavorato incessantemente per mesi alla ricerca della verità: la sentenza del 20 giugno è stata una sconfitta anche per loro che investono quotidianamente tempo ed energie
Lepri ha avuto accanto tante persone che gli hanno ricordato sin da subito che c’è un lato buono ed umano nel mondo : questa sorprendente solidarietà ha mosso un ciclone di persone (anche lontane) e l’ha aiutato a stare a galla e a “non mollare”. Marco ha una famiglia forte e determinata: con loro ha già iniziato la ricerca di una nuova serenità che troverà di sicuro. Resta l’amaro in bocca: il lavoro, l’onesta e il rispetto delle regole della società civile purtroppo non sono stati sufficienti per avere giustizia , altro che pena esemplare come si legge sugli articoli di giornale! Purtroppo il giudizio di oggi suggerisce (a tutti coloro che non hanno ancora scelto quale via intraprendere) esattamente la strada opposta a quella della legalità

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