Cari politici, vogliamo una scuola libera

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Luigi Patrini

di Luigi Patrini

“I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”: lo stabilisce l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), principio che l’Unione Europea ha fatto proprio nel 1984 con la Risoluzione sulla libertà di insegnamento, che all’art. 1 recita: “La libertà di insegnamento e di istruzione deve essere garantita” e, ancora, “La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica”; ulteriormente si precisa che “Il diritto alla libertà di insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti dei gestori, dei genitori, degli alunni e del personale”.

Ebbene, “In Italia – a differenza degli altri Paesi europei – il principio-diritto della libertà di scelta della scuola è sistematicamente ignorato: la scuola libera è solo libera di morire”, lo scrive con efficacia suor Anna Monia Alfieri, coautrice insieme al noto filosofo Dario Antiseri, di una “Lettera ai politici sulla libertà di scuola”, edito recentemente da Rubbettino. Lo afferma citando Gaetano Salvemini che sosteneva che “la scuola pubblica non avrebbe molto da guadagnare dalla scomparsa della scuola privata, (… giacché questa) può rappresentare sempre un pungiglione ai fianchi della scuola pubblica, e obbligarla a perfezionarsi, senza tregua, se non vuole essere vinta e sopraffatta”.

In Europa siamo uno dei Paesi che spende meno in istruzione il 4,9% del Pil, il 7,4% della spesa pubblica complessiva: quattro punti abbondanti sotto la media Ocse, area nella quale siamo davanti al solo Messico, col nostro 18% di laureati sul totale della popolazione, contro il 37% del dato medio e il 46% di Regno Unito e Usa, penultimi in Europa per il numero di laureati.

Il dramma per il nostro Paese nasce in gran parte dalla riduttiva e ideologica interpretazione di quel  breve inciso dell’articolo 33 della Costituzione: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Già “senza oneri per lo Stato”: eppure sia il liberale on. Epicarmo Corbino, che lo aveva proposto, sia il socialista Tristano Codignola, lo interpretavano non come il rifiuto di contributi alla gestione della scuola non-statale, ma come la dichiarazione che l’iniziativa di aprire nuove scuole non-statali non doveva pretendere un contributo da parte dello Stato.

Poiché fino a qualche decina di anni fa le scuole non-statali erano gestite per lo più dal mondo cattolico, il pervicace pregiudizio anticlericale delle “elite” (chiamiamole così!) ha sempre impedito che il problema fosse affrontato con serietà.
Quale sia lo stato della scuola italiana lo vediamo bene: tantissimi esempi di buona volontà e di impegno, ma anche sperperi di danaro pubblico, inefficienza e, spesso, scarsa efficacia. Certo c’è sempre chi sta peggio, ma quanto riconosceva Salvemini rimane pur sempre vero: in campo culturale, la concorrenza (che di per sé non esclude mai la collaborazione!) tra iniziativa pubblica e privata è indispensabile per il miglioramento del servizio offerto ai cittadini nel suo insieme.

“E’ ora di finirla di identificare il ‘pubblico ’con lo ‘statale’”, sostiene Antiseri, ponendo una domanda semplice ed efficace: svolge un miglior servizio pubblico  una scuola statale inefficiente oppure una scuola non statale, ben funzionante e più efficiente? Insomma: è “più pubblica” una scuola non statale efficiente ovvero una statale improduttiva e sciupona? Prima di queste domande, però ce n’è una più radicale: uno Stato di diritto può avanzare la pretesa di monopolio statale nella gestione della scuola? Chi difende la scuola statale solo per motivi ideologici, purtroppo, molto spesso non riesce ad aiutarla a sollevarsi dalle difficoltà in cui versa: forse – verrebbe da pensare – neppure gli interessa farlo!

In effetti suor Anna Monia, che questo argomento ha approfondito studiando i costi “veri” della istituzione scuola, dimostra che lo Stato sperpera i suoi soldi e, così facendo si preclude la possibilità di impostare correttamente il rapporto con le scuole istituite da una società civile sempre più desiderosa di essere protagonista in questo ambito decisivo per il futuro stesso della democrazia.

​Uno studente liceale costa allo Stato non meno di 10 mila euro all’anno, quasi il doppio del “costo standard” che costa ad una efficiente scuola non statale. Suor Anna Monia fa una proposta forte e un po’ audace, ma anche molto interessante, premettendo che il “costo standard”, prima di essere uno strumento gestionale, costituisce la riprova che “i soldi spettano all’allievo” e non sono una beneficienza offerta dallo Stato e nemmeno una spettanza dovuta alle scuole. Il costo standard – secondo lei – è il modo perché “la libera scelta della scuola” non sia più un terreno di scontro ideologico tra partiti, ma la procedura trasparente, economica ed efficace perché l’Italia si allinei con i Paesi civili più avanzati, nei quali tutte le famiglie, sono trattate alla pari, ricche e povere che siano. Si tratta, insomma, di arrivare a un’autentica “parità familiare”, intraprendendo quella che suor Anna definisce la madre di tutte le battaglie: “dare ragione della centralità dell’allievo e della famiglia, sostenere il diritto costituzionale di scelta educativa, in una pluralità di offerta formativa pubblica, statale e paritaria”.

Un servizio è “pubblico” quando è accessibile a tutti in modo libero, senza alcuna preclusione né economica, né sociale né organizzativa. E’ tempo dunque che la scuola italiana diventi davvero pubblica: ne trarrà beneficio la cultura, perché ci sarà una gara virtuosa tra pubblico e privato che costringerà entrambi gli ambiti a migliorare; e – cosa non meno importante – lo Stato farà un bel risparmio. Il milione circa di studenti che frequentano oggi le scuole non statali comportano per lo Stato un risparmio di circa 7 miliardi di euro.
Ben venga dunque questa “Lettera ai politici sulla libertà di scuola”: un centinaio di paginette stimolanti e chiare, che potrebbero migliorare il nostro futuro. Speriamo che i politici le leggano e le capiscano, smentendo quanti – per le note vicende della “manina” che, secondo Di Maio, avrebbe manipolato il testo del condono, pardon!, della “pace”fiscale – hanno avuto il sospetto che alcuni politici non sappiano leggere!

Scuola libera patrini – MALPENSA24